di Goffredo Pistelli  

 

Di nuovo l’amianto. Non è ancora spenta l’eco del processo Eternit, per le morti di Casale Monferrato (Al), dove la società svizzera aveva un grande stabilimento, ed ecco scoppiare il caso della Olivetti e di 21 ex-operai affetti da mesotelioma pleurico, con relativa inchiesta della Procura di Ivrea.

Giorgio Campana, 68 anni, piacentino, medico del lavoro da oltre 40, viene chiamato spessissimo come perito del tribunale o come perito di parte, in cause civili, che hanno a che fare con i danni da amianto. Conosce quindi molto bene i rischi di questo minerale che, per anni ed anni, è stato impiegato dalla nostra edilizia e non solo, per le sue straordinarie proprietà isolanti e il cui uso è stato vietato per legge dal 1992 per la pericolosità delle sue fibre una volta dispersa nell’aria.

Domanda. Dottore che però l’amianto fosse nocivo, immagino che sapesse prima di 21 anni fa, quando la legge 257 lo mise al bando…

Risposta. Certo, si sapeva già negli anni ’20 che i minatori si ammalavano di asbestosi. Si ricorda anche un convegno internazionale del 1965 a New York che influenzò la comunità scientifica. In Italia, la Società italiana medicina del lavoro ne ha accettato la tossicità, in senso cancerogeno, fin dal 1971.

D. E la medicina del lavoro che cosa ha osservato?

R. C’è stato uno scienziato americano, un newyorchese, Irving Selikoff, che ha confermato la correlazione col tumore, in particolare col mesotelioma, distinguendo tre fasi: quella in cui si ammalavano solo i minatori, poi, alla metà del secolo scorso, quando a essere colpiti erano quanti posizionavano l’amianto, nelle navi, nei treni, nel tessile. Poi c’è stata la fase in cui a essere colpiti erano i manutentori, cioè quanti dovevano riparare ciò che con l’amianto era stato costruito.

D. In Italia, cos’è accaduto?

R. Che con la legge del 1992 sono stati istituiti, a livello regionale e centrale, i registri del mesotelioma, la più tipica patologia dell’amianto. Li gestisce attualmente l’Inail.

D. E quanti casi abbiamo?

R. L’ultimo rapporto, quello del 2012, registra i casi dal 1993 al 2008 e parla di 15.845 casi. Un dato destinato verosimilmente a incrementare, perché questo tipo di tumore ha una latenza molto lunga, fino a 40 anni, ragion per cui fino al 2020, ce ne dobbiamo aspettare altri.

D. Ma come colpisce l’amianto, è l’inalazione delle fibre a essere letale?

R. Certo, ma ci sono due teorie scientifiche diverse. C’è quella che sostiene sia necessaria un’esposizione importante e prolungata e, viceversa, quella del cosiddetto «colpo di pistola».

D. E che cosa significa?

R. Che possa bastare anche una breve esposizione ma che, per vari effetti, risulti letale.

D. Perché, cosa succede?

R. L’amianto è una fibra lunga, 8 micron, e sottilissima. Dalle vie respiratorie arriva ai bronchi e da qui, proprio per le sue dimensioni, risale nel sistema linfatico. Lì provoca stati infiammatori dai quali, nel tempo, si può sviluppare il carcinoma. Ecco, quanti sostengono la teoria dell’esposizione prolungata, pensano che i tumori si sviluppino proprio su quel tessuto cicatriziale Chi invece pensa alle brevi esposizioni, rietiene accada una mutazione del Dna, detta epigenetica..

D. Un alieno che penetra nel profondo del nostro organismo e piano piano l’avvelena.

R. È così, in effetti. Praticamente indistruttibile, continua a distruggere cellule intorno. Nel polmone, nella pleura o anche nel peritoneo. nel pericardio e in tutte le sierose, vale a dire le membrane che avvolgono organi e tessuti. Resiste anche a manovre come la clearence mucociliare, capace di liberare le vie respiratorie, tra l’altro, da alcune micropolveri. Anche se, per il tumore, come qualsiasi malattia, non bisogna dimenticare che conta la predisposizione genetica, che varia da individuo a individuo.

D. E poi non ci saranno soli i tumori, immagino.

R. Esatto, ci sono le bronchiti, c’è l’asma. Patologie che possono diventare invalidanti. Una volta, per guarire un mal di gola, ci volevano tre o quattro giorni. Oggi magari molti di più e la ragione sta spesso in quello che respiriamo, nell’inquinamento atmosferico.

D. Tornando all’amianto, da un punto di vista giuridico, qual è la questione?

R. In genere stabilire se le proprietà o gli amministratori di alcune aziende sapessero o meno della pericolosità di quei materiali e avessero deciso, deliberatamente, di utilizzarlo ugualmente, esponendo a un rischio le maestranze. Per Casale, i giudici si sono convinti che così fosse stato.

D. A Ivrea, che cosa sta emergendo?

R. I casi sarebbero stati messi in relazione con un composto contenente amianto, utilizzato per la costruzione di macchine da scrivere.

D. Senta, ma di tutto l’amianto che c’è ancora in giro chi si occupa?

R. Deve essere rimosso, con molte cautele, da soggetti specializzati e stoccato in appositi discariche.

D. Quando è pericoloso?

R. Quando, come si dice tecnicamente, è ammalorato, cioè si deteriora e disperde le sue fibre all’intorno. Però, attenzione, non confondiamo il rischio con la malattia.

D. E situazioni di rischio meno note ci sono?

R. A Broni (Pavia) ha operato un’altra azienda, di dimensioni più piccole dell’Eternit di Casale. Ma la cittadina piemontese aveva anche una cava non lontano dal centro, a Balangero. Pensi che, nell’ultima guerra mondiale, gli Alleati non sono riusciti a bombardare il ponte sul Po che è lì vicino, quello che collega il Monferrato alla Lomellina.

D. E perché?

R. Per via delle nube di fibre d’amianto che quella cava sprigionava. Pensavano che fosse la nebbia, era l’amianto.

D. Dottore, ma l’amianto non è certo l’unico rischio che corriamo…

R. Certo, sempre per restare nell’edilizia c’è la questione dell’ ossido di silicio che, quando è in frazione respirabile, è ritenuto cancerogeno dallo Iarc, l’agenzia dell’Organizzazione mondiale della sanità-Oms che si interessa di tumori. Ma tutti gli Stati non hanno ancora recepita amministrativamente queste valutazioni.

D. Il problema è che c’è in giro un pressappochismo ambientalista che nuoce alle ragioni dell’ambiente e della salute, quel pensiero del «blocchiamo tutto», dall’inceneritore alla ferrovia…

R. Si tratta spesso di posizioni politiche o personali, che non hanno neppure regioni scientifiche o sociali.

D. Quando si dice degli Ogm, per esempio…

R. Sulla cui nocività non c’è neppure un’evidenza scientifica.

D. Sugli inceneritori…

R. In cui si sottovaluta il problema della gestione delle immondizie e soprattutto del produrle.

D. Sull’inquinamento elettromagnetico…

R. Che è un problema più articolato, perché se è vero che non c’è l’evidenza di tutta questa dannosità, dentro un campo elettromagnetico, per esempio, non si riesce a dormire. Insomma l’esposizione deve essere contenuta.

D. Più in generale resta il problema di coniugare salute e lavoro.

R. La via è quella di uno sviluppo sostenibile: chi produce, lo deve fare con maggiore attenzione. Delle situazioni però va fatta una valutazione oggettiva e non politica, nel senso di parte, come invece spesso accade.

D. Le leggi servono?

R. Sì e producono effetti. In 42 anni di medicina del lavoro ho visto cambiare le normative, fino alla più recente decreto 81/2008, e ho assistito alla riduzione di danni importanti, per esempio all’udito di chi è esposto per lavoro. Ma le leggi non bastano…

D. Vale a dire?

R. Vale dire che un caminetto a legna produce tanta diossina, che il riscaldamento domestico a gasolio è assai inquinante, che prendere una bici, anziché l’auto, quando è possibile, significa ridurre le emissioni. Voglio dire, se non cambiamo i comportamenti dei singoli, non ce la faremo mai.

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