DI GIUSEPPE MANTICA
Il ministero non gradisce il contratto di protezione e la responsabilità da contratto sociale, e
la cassazione lo condanna alle spese del giudizio.
Finisce così il lungo viaggio di un caso iniziato nel lontano marzo del 1995 e deciso con la sentenza n. 22752 della suprema corte depositata il 4 ottobre scorso.
Una studentessa riportava la frattura della tibia a seguito della caduta da un muretto, posto all’interno di un piazzale della scuola che delimitava l’area d’ingresso di un seminterrato.
Il risarcimento dei danni era stato riconosciuto sia in primo grado dal tribunale di Civitavecchia che, su gravame del ministero, dalla corte d’appello di Roma. Non contento il ministero ricorreva in Cassazione, che tuttavia, in linea con un’affermata giurisprudenza che si sta consolidando anche
nel merito, rigettava le difese dell’amministrazione.
I giudici di Piazza Cavour hanno per l’occasione espresso il loro monito in ipotesi di danno cagionato dall’alunno a sé medesimo (c.d. autolesioni) si determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge, a carico della scuola, l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e sull’incolumità dell’allievo per il tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica, in tutte le sue espressioni (sentenza n. 3680/11). La scuola è pertanto tenuta a predisporre tutti gli accorgimenti all’uopo necessari, anche
al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso (Cass. n. 1769/12), sia all’interno dell’edificio che nelle pertinenze scolastiche, di cui abbia a qualsiasi titolo la custodia, messe a disposizione per l’esecuzione della propria prestazione (sentenze n. 3680/11 e n. 19160/12). Ivi compreso,
pertanto, il cortile antistante l’edificio scolastico, del quale la scuola abbia la disponibilità e ove venga
consentito il regolamentato accesso e lo stazionamento degli utenti, e in particolare degli alunni.
L’istituto è tenuto a mantenere la condotta diligente dovuta, nel senso che trattasi di «contratto di protezione », in base al quale, tra gli interessi da realizzarsi da parte della scuola rientra quello all’integrità fisica dell’allievo, e la conseguente risarcibilità dei danni da autolesione dal medesimo
sofferti (sentenze n. 577/08 e n. 18805/09) secondo criteri di normalità. 

Per vie giudiziarie l’istituto deve dimostrare di avere adottato, in relazione alle condizioni della cosa e alla sua funzione, tutte le misure idonee ad evitare il danno, e che il danno si è verificato per un evento non prevedibile né superabile con la diligenza normalmente adeguata in relazione alle
circostanze concrete del caso. Mentre l’attore, trattandosi in prevalenza di azioni fondate su vincolo contrattuale, deve solo provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto.
Qualche residuo equivoco aveva suscitato la sentenza n° 19160/12, citata tra le altre, che rigettava le istanze risarcitorie: tuttavia, a ben leggere le motivazioni l’esclusione di responsabilità era fondata sul fatto che -nel caso di specie- l’alunno fosse scivolato mentre era ancora sul marciapiede della strada e solo in conseguenza di ciò fosse quindi caduto sui gradini della rampa di accesso alla scuola. In tal
senso si schiera anche la più recente giurisprudenza di merito: il tribunale di Milano, sentenza del 14/2/2013, non ha accolto la domanda del danno di un alunno caduto accidentalmente. Da quasi un decennio è principio consolidato, dunque, che il titolo della responsabilità della scuola, nel caso di
alunni che subiscano danni durante il tempo in cui dovrebbero esser vigilati, può essere duplice e fatta valere contemporaneamente.
Il titolo è contrattuale se la domanda è fondata sull’inadempimento all’obbligo specificatamente
assunto dall’autore del danno di vigilare, ovvero di tenere una determinata condotta o di non tenerla; extracontrattuale se la domanda è fondata sulla violazione del generale dovere di non recare danno ad altri. Quindi, lo stesso comportamento può essere fonte per il suo autore sia di una responsabilità da inadempimento, sia di una responsabilità da fatto illecito, quando l’autore della condotta anzichè astenersene la tenga, ovvero manchi di tenere la condotta dovuta e le conseguenze sono risentite in un bene protetto non solo dal dovere generale di non fare danno ad altri, ma dal diritto
di credito, che corrisponde ad una obbligazione specificamente assunta dalla controparte verso di lui.
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