di Debora Alberici  

 

Saranno le Sezioni unite penali a dirimere uno dei principali problemi interpretativi creati dalla «231» e cioè a stabilire se, in caso di reati fiscali commessi dall’amministratore in favore dell’ente, sono direttamente sequestrabili i beni della società. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 46726 del 22 novembre 2013. In fondo alle motivazioni la terza sezione penale individua il quesito che dovrà dirimere il contrasto interpretativo: «Se sia possibile o meno aggredire direttamente i beni di una persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante della stessa». In realtà le pronunce più recenti sono nel senso di ritenere impossibile la disposizione della misura in assenza di una norma specifica. In particolare, con la sentenza 1256/2013, dopo aver rilevato l’impossibilità di far derivare, in base alla normativa vigente la responsabilità degli enti per i reati tributari evidenzia come tale situazione non possa ritenersi il risultato di una scelta meditata del legislatore, facendo osservare l’irragionevolezza dell’attuale assetto normativo, in base al quale con riferimento ai reati tributari compiuti nell’ambito di fenomeni associativi a carattere transnazionale è possibile ravvisare la responsabilità della persona giuridica ed operare la confisca per equivalente dei beni della società coinvolta diversamente da ciò che avverrebbe, in assenza di tale presupposto, anche a fronte di un ammontare maggiore di imposte evase.