di Sergio Luciano  

La «notizia» ufficiale era, per carità, quella che i titoli dei giornali di ieri hanno «sparato» con enfasi: l’anatema di Mario Greco, amministratore delegato delle Generali, contro Standard and Poor’s, che l’altro ieri aveva messo sotto osservazione il rating del gruppo triestino progettando di declassarlo da A- a BB: «Un clamoroso errore, irricevibile», ha detto l’autorevole manager. Ma la notizia «vera» è un’altra: nelle due sedute di Borsa successive al comunicato di S&P, la quotazione di Generali è salita quasi del 3%, altro che. Come dire che i mercati se ne fregano. E non è buonismo nazionalista, questo: la buona reazione del titolo non deve essere attribuita a chissà quali manovre difensive dettate da Trieste (sono inverosimili e infattibili, in un mercato di queste dimensioni). Il dato di fondo è un altro, e cioè che davvero ormai i mercati finanziari non attribuiscono più ai rating delle tre grandi agenzie specializzate internazionali il valore che riconoscevano un tempo. Ed è buon segno: vuol dire che gli errori si pagano. Non si può lasciare la tripla «A» a Lehman Brothers fino alla vigilia del crack e poi continuare, come se niente fosse successo, a spacciare sentenze sul mondo.

Non a caso, l’uscita di Greco ha molti autorevoli precedenti, il più colorito dei quali va riferito a Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, che poco più di un anno fa s’era visto declassare l’azienda e a sua volta aveva detto che quel giudizio non ne rispecchiava le reali condizioni di salute finanziaria. Come dire: non solo le agenzie di rating emettono giudizi che i mercati ormai trascurano, ma le si può anche biasimare senza temere rappresaglie_

Eppure sarebbe sbagliato sottovalutare ciò che di vero quel giudizio contiene, almeno nel caso delle Generali: e cioè che qualsiasi intermediario finanziario abbia tra i suoi asset molti titoli di Stato, ne sconta la poca affidabilità. Un’azienda globale come Generali non è «investita» solo sui Btp italiani, anzi; ma per la parte di patrimonio che ha vincolato ai nostri titoli di Stato, ne sconta l’ancora purtroppo grave discredito_ Come dire che la Repubblica è diventata ormai una «matrigna» per le sue aziende, una specie di palla al piede che ne contamina l’immagine. Contagio vero o presunto? Vero, almeno fin quando non verrà un governo capace di varare, contro l’iceberg del debito, una manovra radicale, che non si limiti, come quest’ultima legge di stabilità, a fargli il solletico ma che lo riduca drasticamente in un colpo solo. I modi ci sarebbero e molti ne sono stati proposti, ma per ora ancora senza esito. Aspettiamo il prossimo turno_

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