di Alberto Calvo*

Sono passati quattro anni dal picco della crisi del 2009 e i mercati azionari, in particolare europei, solo ora tornano ai livelli pre-crisi. In contrasto, l’industria del Private Equity seppure ciclica, si è dimostrata capace di recuperare in fretta (arrivando anche a una crescita annua composta del 20-60%) dopo fasi di profonda recessione come nei primi anni 90 e negli anni 2000-2001.

Ciononostante, è ancora poco chiaro quale sarà la velocità di crescita del Private Equity nei prossimi anni, e da quali operazioni sarà sostenuta, specialmente in Europa. Al di là della ricerca di grandi occasioni, sempre più rare, le aziende di Private Equity dovrebbero dedicarsi a individuare aziende in grado di sviluppare modelli operativi non-convenzionali, intuendo in modo creativo come posizionarsi correttamente all’interno della catena del valore o costruire un vantaggio competitivo in modo originale. In molti settori industriali, magari non così chiaramente leggibili dall’esterno (come componentistica, tecnologie per il settore B2B, gli impianti, i prodotti intermedi, tutti settori di cui l’Italia può vantare numerose multinazionali tascabili) ci sono ancora tante storie di successo da valorizzare, anche con il contributo di investitori come i Pe. I casi recenti di Kedrion e Farnese ne sono un esempio. Per questo, quando ci si trova a valutare l’attrattività di un potenziale investimento, i Pe dovrebbero dare più enfasi (non è mai abbastanza) alla robustezza del modello di business e al posizionamento competitivo dei target nelle relative catene del valore, piuttosto che alle proiezioni economiche le quali, per quanto complete e rigorose, non sempre riescono a riflettere il vero potenziale dell’azienda. Se questo è vero, i fondi di Pe trarrebbero più vantaggi investendo molto di più di quanto non accada oggi in analisi approfondite sui settori industriali di interesse, nella comprensione dei fondamentali driver di domanda e offerta, così come delle dinamiche specifiche della catena del valore, e valutare così l’intero modello operativo di un’azienda, lasciando solo a una seconda fase gli aspetti più tecnici del deal-making. È fondamentale infatti riuscire a mettere a fuoco con grande sicurezza, prima di procedere oltre, gli aspetti più critici per la tenuta del business nel medio-lungo termine. Molto spesso, tuttavia, la valutazione di come l’azienda riesce a conquistare il cliente (grazie alla comprensione di gusti e tendenze e al vantaggio tecnologico contenuto nei propri prodotti) e a difendersi dalla concorrenza (per esempio grazie a scelte oculate in materia di internalizzazione o esternalizzazione dei propri processi produttivi) è piuttosto superficiale e rischia di compromettere l’investimento stesso. (riproduzione riservata)

*partner, Value Partners