di Andrea Di Biase

L’appuntamento è a Londra per mercoledì 27 novembre. Dopo l’investor day del 14 gennaio scorso, Mario Greco e la prima linea manageriale delle Generali torneranno nella City per illustrare al mercato lo stato di avanzamento del piano presentato quasi un anno fa.

Da allora l’ex manager di Allianz e Zurich, che ha avuto carta bianca dai grandi soci del Leone nella speranza di riportare il titolo Generali almeno sopra i 20 euro (16,81 euro alla chiusura di venerdì 8 novembre dopo un rally del 100% in 12 mesi), ha raggiunto importanti risultati sia in termini gestionali sia in termini di riorganizzazione della macchina operativa del gruppo. Da quando si è insediato al vertice delle Generali, il 3 agosto 2012, Greco, oltre a rimettere in moto il gruppo dal punto di vista di industriale – come dimostrano i risultati dei nove mesi (i migliori degli ultimi 5 anni), chiuso con un utile in crescita a 1,6 miliardi a fronte di ricavi stabili a 49 miliardi – ha avviato con successo un riposizionamento del la compagnia sul core business assicurativo finalizzato a raggiungere entro il 2015 un risultato operativo di oltre 5 miliardi (3,4 miliardi nel 9 mesi 2013) e un Roe operativo di oltre il 13% (9,9% il risultato non annualizzato dei 9 mesi).
Tutto ciò senza chiedere agli azionisti di mettere mano al portafoglio, nonostante l’obiettivo di un Solvency ratio del 160% (143% a fine settembre, ma in crescita al 152% a fine ottobre 2013) e della necessità di trovare altri 1,25 miliardi per acquistare, quando a fine 2014 si aprirà la finestra temporale, il restante 25% di Generali Ppf Holding, la joint venture in Europa orientale con il finanziere Petr Kellner. Per questo il vertice del gruppo triestino è da tempo impegnato in un piano di dismissioni di asset non strategici, che finora ha portato nelle casse del Leone 2,3 miliardi, generando plusvalenze lorde per circa 800 milioni e un impatto sul margine di solvibilità di 9 punti percentuali. Le risorse necessarie ad arrivare a quota 4 miliardi, Greco e i suoi collaboratori puntano a raccoglierle con la cessione del 100% di Banca Bsi, la private bank offshore con sede a Lugano e una branch a Singapore, iscritta sui libri delle Generali per circa 2 miliardi. Tuttavia, nonostante le continue indiscrezioni relative a soggetti potenzialmente interessati ad acquistare Bsi, sembra che nessuno abbia avanzato offerte ritenute economicamente valide da parte del vertice delle Generali. Così sarebbe accaduto, ad esempio, per quanto riguarda la proposta avanzata dai portoghesi del Banco Espirito Santo, che sarebbero arrivati a valutare Bsi circa 1,8 miliardi, ma pagandone una metà in contanti e l’altra girando alle Generali una serie di partecipazioni di eguale valore. Una soluzione che non avrebbe trovato il gradimento del vertice del Leone, così come la proposta, suggerita nei mesi scorsi da una primaria banca d’investimento internazionale, di procedere alla quotazione in borsa di una quota di minoranza della stessa Bsi. Nonostante ciò, Greco non sembra aver perso la speranza di poter valorizzare al meglio la controllata elvetica. «Bsi è un asset che ha un buon valore, è in una situazione di mercato non facile, ma vogliamo vendere questo asset a un valore adeguato», ha spiegato il numero uno nel Leone nel corso della conferenza telefonica con gli analisti di giovedì 7 novembre, per fugare i dubbi del mercato. Ma è evidente che il rischio di rimanere impantanati ancora a lungo sul dossier Bsi esiste. Non per niente nelle ultime settimane sul mercato sono tornate a circolare indiscrezioni su possibili soluzioni alternative alla cessione della private bank ticinese. Soluzioni ideate dalle banche d’affari, che al momento, tuttavia, non sarebbero state neppure prese in considerazione dal vertice del Leone. Qualcuno, ad esempio, aveva suggerito di procedere a un ulteriore collocamento di azioni Banca Generali: dopo la cessione la scorsa primavera del 12%, il gruppo triestino ha ancora in portafoglio il 51% della banca guidata da Piermario Motta; ci sarebbe dunque ancora spazio per cedere almeno un altro 20%, che alle quotazioni attuali vale circa 450 milioni. Ma così facendo l’istituto, pur rimanendo sotto il controllo di Trieste, finirebbe per uscire dal perimetro del gruppo e poiché il marchio Banca Generali non è di proprietà diAssicurazioni Generali ma della banca stessa, potrebbero insorgere non pochi problemi legali e reputazionali, se alla lunga dovesse emergere un altro azionista di riferimento. Per questo motivo sarebbe stato suggerito di procedere in un’altra direzione: la fusione tra Banca Generali e la nuova Alleanza Assicurazioni, la società che sta rinascendo come entità autonoma nell’ambito del progetto GeneraliItalia, il cui perimetro sarà molto simile a quello di Alleanza pre-delisting. L’ipotesi, decisamente rifiutata da Greco, è comunque suggestiva e potrebbe rappresentare l’uovo di colombo per risolvere le esigenze patrimoniali del gruppo senza privarlo di asset importanti. Grazie alla fusione tra le due società, entrambe in portafoglio alla subholding Generali Italia, nascerebbe un polo nazionale nella distribuzione di prodotti vita, consulenza e gestioni, già quotato a Piazza Affari, con una capitalizzazione superiore ai 6 miliardi, di cui il Leone avrebbe una quota di poco superiore all’80%. Sarebbe allora possibile collocare una quota del 30% della nuova società recuperando gran parte delle risorse necessarie a raggiungere il target dei 4 miliardi, senza rinunciare al controllo. Ma Trieste non ne vuole sapere. Quale sarà dunque la soluzione? Forse il 27 novembre si potrà sapere qualcosa di più. (riproduzione riservata)