di Roberta Castallarin e Paola Valentini 

Soltanto il 3% del patrimonio dei fondi pensione in Italia è destinato alle aziende di Piazza Affari. Ai Btp invece i fondi pensione riservano il 90% del portafoglio sull’Italia. In tutto, gli strumenti previdenziali gestiscono asset per circa 110 miliardi di euro, quindi l’importo impiegato nelle quotate italiane è molto ridotto.

I dati emergono da un’analisi condotta dal Mefop, l’associazione per lo sviluppo dei fondi pensione, che nei giorni scorsi ha organizzato un seminario a porte chiuse proprio per individuare quale può essere il ruolo dei fondi previdenziali nel rilanciare la crescita dell’Italia in una fase come l’attuale, in cui le banche non hanno riaperto i cordoni della borsa, mentre lo Stato è alle prese con drastiche misure di contenimento della spesa pubblica. E le risorse degli strumenti di previdenza complementare sono chiamati da più parti in causa perché la loro ottica di lungo termine può andare incontro alle necessità delle aziende, che cercano canali alternativi ai finanziamenti bancari. Questi, nonostante tutto, oggi fanno ancora la parte del leone: nel 2012 circa il 70% dei prestiti alle imprese arrivava dalle banche contro meno del 40% in Francia, il 28% del Regno Unito e poco più del 30% negli Stati Uniti.

Ma la progressiva diminuzione dell’intervento delle banche costringe sempre di più le aziende a cercare altri canali di raccolta come le emissioni di bond (che in Italia rappresentano meno del 10% dei debiti finanziari delle società rispetto al 23% della Francia, al 32% del Regno Unito e al 50% degli Usa).

Proprio per aiutare le imprese a sviluppare l’accesso al mercato dei capitali il governo italiano nel 2012 ha introdotto i mini-bond, titoli con una fiscalità agevolata destinati a investitori istituzionali, un segmento che vede in questi mesi nascere le prime emissioni e i primi fondi dedicati. Questi titoli potrebbero attirare l’interesse dei gestori previdenziali che sono alla ricerca di un rendimento stabile nel tempo così da pagare gli assegni integrativi.

Ma finora i fondi si sono tenuti alla larga da tutto ciò che è diverso dal Btp, non soltanto la borsa, ma anche le obbligazioni corporate. In base ai dati Mefop i fondi pensione tricolore investono in Italia il 31% del loro patrimonio, con i titoli di Stato che fanno la parte del leone con una quota del 90% del portafoglio italiano, mentre le obbligazioni societarie rappresentano il 7% e le azioni non più del 3%.

Quando si ragiona sull’asset allocation dei fondi, non bisogna però dimenticare il punto di vista dei lavoratori. Va infatti evitato che le loro pensioni, sia quella pubblica che quella di scorta, siano troppo esposte all’economia italiana. Stefania Luzi di Mefop mette in luce «il rischio di un’eccessiva concentrazione geografica degli investimenti pensionistici del I e II pilastro». Con gli attuali meccanismi i contributi versati per la pensione pubblica sono infatti rivalutati in base all’andamento del pil, che come noto negli ultimi anni è andato al passo del gambero. È necessario quindi che l’esposizione dei fondi pensione sia più diversificata.

Regola che però oggi non sembra rispettata per l’eccessiva concentrazione sui titoli di Stato italiani a discapito di altre asset class.

Ma accanto ad azioni, obbligazioni e titoli di Stato in futuro nel portafoglio dei fondi pensione potrebbero spuntare anche nuovi strumenti come i fondi immobiliari, gli hedge fund, le valute o i beni rifugio (per esempio l’oro, i gioielli e i diamanti). Nel 2012, il Tesoro ha approvato uno schema di regolamento in base al quale i prodotti previdenziali potranno investire non solo in titoli quotati su mercati regolamentati ma anche in strumenti alternativi per consentire ai gestori la massima diversificazione degli investimenti. Il nuovo regolamento ha incontrato le critiche di chi teme che i gestori si espongano a investimenti poco trasparenti o poco adatti alla previdenza integrativa. Di parere diverso è invece Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza. La crisi degli ultimi anni, secondo Corbello, ha infatti dimostrato che non esistono strumenti completamente privi di rischio, neppure tra i titoli di Stato dell’area euro. Da ciò , per il presidente di Assoprevidenza è emersa la necessità di allargare il raggio di azione dei fondi pensionistici. «L’importante», aggiunge Corbello, «è che questo processo avvenga all’interno di regole chiare e trasparenti». Come appunto i mini-bond, titoli che confluiscono in fondi costituiti ad hoc, che ora cominciano a essere lanciati o dalle sgr o per iniziativa diretta di singoli investitori istituzionali. È il caso del Trentino Alto Adige con il fondo pensione della regione (Laborfonds) e le province di Trento e Bolzano che hanno varato autonomamente un primo fondo dedicato proprio alle obbligazioni emesse da imprese del territorio (box in pagina). Ma anche sgr e banche stanno lavorando a un’offerta di questo tipo da proporre agli investitori. Come Bnp Paribas Investment Partners sgr che ha appena lanciato un fondo dedicato ai nuovi strumenti. «Con questa iniziativa, Bnp Paribas intende contribuire al rilancio del sistema produttivo delle piccole e medie imprese, favorendo l’accesso al mercato obbligazionario», ha commentato commenta Fabio Gallia, responsabile Italia del gruppo Bnp Paribas. E nei giorni scorsi anche il direttore generale di Unicredit, Roberto Nicastro, ha annunciato: «Noi come Pioneer stiamo per lanciare un fondo dedicato ai minibond», aggiungendo che «La crescita di questo mercato richiede una grande maturità a tutti gli operatori che vi vogliono partecipare, come le banche e i fondi. Anche le imprese che vorranno emettere i mini-bond dovranno impegnarsi tanto sul fronte della trasparenza e della flessibilità nella gestione della finanza, compresa quella della leva che adottano». Una risposta indiretta alle raccomandazioni di Corbello, che chiede appunto regole chiare e trasparenza. (riproduzione riservata)