Carlotta Scozzari

L’ Italia è in vendita. Anzi, forse è addirittura in svendita. A testimoniarlo non è soltanto la febbre di conquista dei grandi gruppi esteri che negli ultimi tempi hanno messo le mani su imprese italiane dalla tradizione consolidata (da Loro Piana a Parmalat passando per Bulgari e così via), ma è anche l’interesse che gli investitori stranieri stanno sempre di più mostrando per quote, grandi o piccole, di società quotate. Proprio l’appetito per la “corporate Italia”, risvegliatosi dopo mesi di torpore in cui il dilatarsi dello spread Italia-Germania aveva tenuto gli investitori di oltre confine lontani dal Belpaese, rappresenta uno dei fattori che più hanno favorito i numerosi collocamenti azionari che stanno movimentando la Borsa. Così, all’inizio di ottobre, attraverso un collocamento “lampo” rivolto agli istituzionali ( accelerated bookbuilding), Unipol ha ceduto a investitori sia italiani sia esteri il restante 2,68% di Mediobanca che la controllata Fondiaria- Sai aveva in portafoglio, uscendo così da Piazzetta Cuccia. Il pacchetto è stato venduto a 5,85 euro per azione, quando venerdì 8 novembre le azioni della banca guidata da Alberto Nagel in Borsa viaggiavano intorno a 6,25 euro. Anche il collocamento privato di metà ottobre del 5,1% di Sorin in mano a General Electric ha riscosso particolare successo all’estero: il 60% della domanda, pari a tre volte il quantitativo di titoli offerti, arrivava da oltre confine. In questo caso le azioni dell’azienda attiva nel settore dei dispositivi medicali sono state piazzate a 1,935 euro, quando l’8 novembre sul mercato azionario ne valevano più di 2. In molti casi, i collocamenti hanno visto all’opera un azionista di controllo che ha fatto cassa restando comunque al comando. E’ accaduto con la famiglia Benetton, che, dopo la scissione in due di Autogrill, è scesa al 51% sia nell’azienda della ristorazione autostradale sia nella neonata dei duty free Wdf. Discorso analogo per la famiglia Bombassei che, a fine ottobre, si è ridimensionata al 53,5% nell’azionariato di Brembo, collocando il 2,99% a un prezzo finale di 19,60 euro per titolo, in questo caso più elevato dei 18,9 euro intorno a cui l’azienda che produce impianti frenanti viaggiava a Piazza Affari venerdì. E’ evidente che chi intende cedere pacchetti più o meno grandi di società quotate si stia muovendo adesso. La spiegazione è semplice: il mercato azionario italiano viaggia sui massimi dall’estate del 2011, alimentato anche dal ritrovato interesse degli operatori esteri, ma tale ottimismo è offuscato da uno scenario macroeconomico ancora non del tutto incoraggiante. Insomma, è un po’ come se il ragionamento di chi colloca le quote fosse: «Meglio vendere adesso, anche a costo di rischiare che se il rally va avanti le azioni raggiungano livelli più alti, perché del doman non v’è certezza ». Il problema, però, è proprio che l’ansia di vendere non porti a una svendita. Ne è del tutto consapevole Gabriele Roghi, responsabile della consulenza agli investimenti di Invest Banca, la cui sensazione è che in questi casi, la maggior parte delle volte, «l’affare lo faccia chi compra». Il punto, ragiona Roghi, è che «dall’estero sanno che le azioni italiane, nonostante il rally degli ultimi tempi, sono ancora sottovalutate». Tutto si gioca sulla direzione che l’equity prenderà nei mesi a venire. «Il sentiment sull’azionario spiega Roghi – è positivo, i flussi di denaro non mancano. Ora l’Italia ha recuperato la penalizzazione eccessiva di cui era stata vittima e si è riportata sulla linea di galleggiamento. Prevedo che da qui a fine anno, in ogni caso, un rialzo del 7-8% ci possa ancora stare». In virtù delle aspettative di nuovi rialzi per il mercato nostrano, nuovi collocamenti azionari, più o meno certi, stanno per prendere il via. Presto o tardi (la tempistica è legata a doppio filo con quella dell’aumento di capitale della banca), dovrebbe essere messo in vendita il 10% di Monte dei Paschi di Siena. A cedere i titoli sarà la Fondazione Mps presieduta da Antonella Mansi, che ha bisogno di fare cassa per ripagare i 350 milioni di debito contratto con le banche. L’ente senese ha comunque escluso vendite «goccia a goccia », ipotizzando operazioni con soggetti finanziari «preferibilmente di respiro internazionale ». E nel mirino di investitori stranieri, secondo indiscrezioni, potrebbe finire anche Mediaset, la società ora controllata al 41,3% dalla Fininvest. Non sembra da escludere che la finanziaria della famiglia Berlusconi possa mettere sul mercato almeno parte della propria partecipazione. In questo caso, gli indizi sembrano condurre verso investitori arabi o, più facilmente, russi. Anche le due multiutility A2a e Acea sono in odore di collocamento azionario, in entrambi i casi da parte degli enti locali azionisti di maggioranza. Per quel che riguarda l’azienda lombarda, i Comuni di Milano e Brescia, ora al 55,92%, hanno di recente annunciato la cessione del 5% di A2a, in modo da restare comunque al di sopra della soglia del 50%. Qualche analista si aspetta a breve una mossa di questo tipo anche in Acea. Il Comune di Roma, ora socio di riferimento al 51%, potrebbe decidere di ridimensionarsi anche alla luce delle tensioni registrate con gli altri soci, il gruppo Caltagirone e i francesi di Gdf, che hanno fatto asse comprimendo gli spazi di manovra del sindaco Ignazio Marino.