Vittoria Puledda

Milano È stato quasi un fulmine a ciel sereno, una mossa improvvisa e a sorpresa per molti, anche all’interno del gruppo, quella con cui Azimut ha portato a casa 250 milioni, grazie al collocamentolampo di un prestito subordinato convertibile a sette anni. Ha messo fieno in cascina, hanno pensato subito tutti. È pur vero che nei prossimi anni le possibili evoluzioni della normativa europea sui fondi di investimento potrebbero portare a rivedere la struttura delle commissioni e di conseguenza ad imporre revisioni del conto economico di molte società del settore. Ma per Azimut, che già ora ha una cassa disponibile di 250 milioni, la motivazione più ragionevole per la raccolta è quella di puntare alla crescita per linee esterne; insomma, a fare acquisizioni. Le norme di Bankitalia sul patrimonio di vigilanza (che valgono anche per Azimut, anche se non è una banca) impongono infatti che resti una certa scorta di capitale disponibile e, con questa emissione di subordinato, a Pietro Giuliani – patron del gruppo anche se è azionista solo con l’1,4% – restano complessivamente liberi per lo shopping 350 milioni (fatta sempre salva la possibilità di ricorrere all’indebitamento). Non pochi, ma nemmeno tantissimi per il mercato italiano. Soprattutto in questo momento, in cui un po’ tutto il settore del risparmio gestito sembra contagiato da una sorta di “esuberanza irrazionale”, come avrebbe detto qualche anno fa Alan Greenspan. E sì, perché una serie di fattori

da qualche mese a questa parte stanno convergendo nella direzione di far crescere la valorizzazione delle società di risparmio gestito/reti distributive che popolano la scena in Italia. In primis il fatto che – forse ancora solo per qualche tempo – le banche non hanno necessità imminenti di far incetta di depositi e dunque vendono più volentieri prodotti del risparmio gestito, aiutando in questo modo anche il proprio conto economico grazie alle copiose commissioni retrocesse ai collocatori. L’altro elemento è la ciclicità di questo business: in altri termini, quando i mercati salgono, tutti corrono a comprare e quando scendono fanno il contrario, ad onta di qualsiasi logica razionale. Per entrambe le ragioni, quindi, questa fase rappresenta un momento d’oro per il settore. «Direi che sta prendendo le dimensioni e l’importanza che si merita», commenta Piermario Motta, ammini-stratore delegato di Banca Generali. La società è stata qualche mese fa oggetto di un collocamento da parte della controllante Generali, a multipli pari a 12/13 volte gli utili. Un altro indicatore tenuto in considerazione sono le masse gestite. Un criterio di massima indica una valorizzazione che oscilla dall’1% al 3% delle masse gestite e altrettanto del collocato da una rete di vendita. Se una società ha entrambe le attività, i parametri si sommano; insomma, la valorizzazione di un gruppo ben gestito e con una rete dinamica si aggira intorno al 6% delle masse e anche oltre (attualmente, Banca Generali capitalizza in Borsa circa il 7,5% delle masse). Allora, tornando alla domanda iniziale, dove farà shopping Giuliani? «Il bond è stata un’ottima operazione finanziaria – spiega il manager – e può aiutare nel caso si presenti una buona occasione di acquisto in Italia, se si verificano insomma condizioni di minore euforia per il settore». Ovvio che un compratore si sbilanci il minimo possibile e punti a spendere meno, ma almeno una cosa è chiara: l’obiettivo, prioritario, è in Italia. Non è scontato, visto che negli ultimi tempi Azimut si è espansa soprattutto all’estero, con accordi a Taiwan, Singapore e Brasile. Top secret il target, ma sembra difficile che sia Anima sgr. Prezzo e dimensioni a parte (il 2012 si è chiuso con un utile netto di 42,6 milioni mentre a fine settembre scorso il patrimonio gestito era di 43,6 miliardi ) la società, i cui soci sono il fondo Clessidra, Bpm, Mps e altre banche con quote minori, sta valutando «congiuntamente agli azionisti, se sussistono le condizioni idonee alla quotazione in Borsa, coerentemente con il progetto cominciato quattro anni fa e volto a creare un polo indipendente ». Nessuna novità invece dal fronte di AcomeA, di Alberto Foà, concentrato a crescere per linee interne. Voci di corridoio e rumors di varia natura dicono che altre realtà di piccole dimensione potrebbero essere pronte a cambiar azionista, ma almeno in parte sono le stesse banche d’affari a proporre operazioni studiate in prima persona. Altra cosa è capire quali spazi ci siano davvero per un processo di consolidamento nel risparmio gestito: secondo alcuni in realtà non ci sarebbero grandi opportunità per operazioni di rilievo, tenendo conto che le prime 8 società controllano il 93% del mercato. Almeno nei primissimi posti non pare ci siano novità all’orizzonte: non in casa Fideuram dopo il tormentone che ha caratterizzato gli anni precedenti (anche se il nuovo ad Carlo Messina non si è ancora pronunciato); non a Pioneer, anche in questo caso dopo le tentazioni del passato prossimo e nemmeno in casa Mediolanum, dove gli osservatori considerano ormai conclusa la fase di passaggio generazionale, non solo da parte del fondatore Ennio Doris (ancora presentissimo ma ormai stabilmente affiancato dal figlio Massimo) ma anche a livello degli altri manager storici del gruppo. Che, anzi, viene descritto come il modello futuro di banca commerciale: una piattaforma informatica efficiente e bancari a tasso variabile (promotori pagati a provvigione). Né si parla – per ora – di Banca Generali: il Leone di Trieste è al 51,3% e non punta a far cassa in quella direzione. Ma queste operazioni, si sa, prima si fanno e poi si annunciano.