di Roberta Castellarin e Paola Valentini

Fino a 100 mila euro i depositi saranno protetti in Europa, oltre tale soglia i conti correnti possono essere coinvolti nei fallimenti bancari. L’Unione europea sta discutendo in questi giorni il tema dell’Unione bancaria. Una tappa a cui prima o poi si dovrà arrivare, nonostante i veti e i paletti della cancelliera tedesca Angela Merkel.

Ma nelle discussioni in corso viene data poca rilevanza a un punto molto delicato per garantire la fiducia nelle banche da parte dei rispamiatori: ovvero la soglia di garanzia dei depositi. I Paesi della Ue hanno deciso a fine giugno che nel momento in cui sarà necessario un salvataggio bancario saranno intoccabili solo i conti correnti fino a 100 mila euro. Mentre gli importi superiori a tale soglia saranno aggredibili. Dunque obbligazionisti e correntisti di fatto partecipano in parte al rischio di impresa della banca. Come è accaduto ai depositanti delle banche di Cipro che si sono visti prelevare una trattenuta sui conti correnti dal 6,75% a crescere. «Il salvataggio di Cipro è il primo caso in Europa di un debito con prelazione nonché di un bail-in non garantito dei depositanti. Nonostante la sua unicità, dovuta sia alla peculiarità del suo sistema bancario sia alle implicazioni politiche intrinseche alla soluzione di salvataggio attuata, il bail-in di Cipro ha sensibilizzato gli investitori sull’implementazione dei regimi di risoluzione», dicono Christina Schmid e Elena Guglielmin, analiste di Credit Suisse private banking.

In altre parole è stato creato un precedente pericoloso che ha lasciato basiti gli investitori statunitensi, che possono contare su una garanzia fino a 250 mila dollari, ma che di fatto trovano inconcepibile che venga coinvolto il depositante in caso di crack bancario, come dimostrano i salvataggi di Citi e Bofa.

Una doccia fredda anche per gli investitori italiani che ancora non hanno scordato l’euro tassa del 1996. Eppure la strada sembra questa. L’Europa, soprattutto i Paesi forti, vogliono fare entrare anche i conti nella partita del cosiddetto bail-in, ovvero la compartecipazione alle perdite degli azionisti e degli obbligazionisti della banca al fallimento del proprio istituto prima che avvenga l’intervento del fondo di salvataggio bancario. Sono passati ormai cinque anni dagli eventi di Bear Stearns e Lehman Brothers «ed è chiaro a tutti quanto e come i problemi del settore finanziario influenzino in modo significativo l’economia reale. Se fallisce una caffetteria, ci sono delle conseguenze: il proprietario si dispera, i creditori hanno poco da ottenere, i dipendenti sono senza lavoro, i clienti prenderanno il caffè altrove. Con il fallimento di una banca, le conseguenze sono più estese e rilevanti: scompare la fiducia, nasce la paura e la possibilità concreta di non rivedere i propri risparmi o, tra banca e banca, i pagamenti dovuti. E’ più difficile ottenere credito e il costo dei finanziamenti sale. Per tutti», spiegano da AcomeA sgr.

Gli Stati a questo punto hanno due possibilità: far fallire la banca con tutte le conseguenze del caso nel sistema finanziario, oppure utilizzare le tasse per salvare istituti bancari e collettività da peggiori effetti collaterali. «Negli ultimi anni si è percorsa la seconda alternativa, il cosiddetto bail-out, rendendo collettive le perdite del settore privato: 4.500 i miliardi di aiuti alle banche, pari al 37% del pil dell’Unione, che sono stati approvati dalla Commissione Europea», sottolineano ancora da Acome A.

Oggi, però, le tasse servono agli Stati per tamponare i propri problemi di bilancio. E’ impensabile varare altri inasprimenti fiscali per i salvataggi bancari. Quindi la soluzione che prevale è quella contenuta appunto nella proposta di legge della stessa Commissione, che prevede di far sostenere il costo del salvataggio di un’istituzione finanziaria ai suoi azionisti e obbligazionisti, e non più a tutti i contribuenti in modo indistinto. E’ il cosiddetto bail-in i cui tempi di attuazione non partiranno prima del primo gennaio 2015. Sotto il nuovo regime normativo, i regolatori avranno la facoltà di imporre le perdite, oltre che agli azionisti, agli obbligazionisti e, nell’ipotesi peggiore, ai depositanti. Lo stato attuale della Direttiva dell’Unione europea in materia di risanamento e risoluzione prevede la condivisione del carico a livello subordinato (tier 1 e tier 2) entro il 2015, e solo entro il 2018 a livello di debito con prelazione, in modo da concedere alle banche più deboli il tempo di rafforzare i loro patrimoni per proteggere adeguatamente gli obbligazionisti senior.

Il bail-in quindi riguarda tutti da vicino. «Al fine di evitare il fallimento di una banca, potranno essere colpiti anche i detentori di obbligazioni senior. Solo la parte dei depositi coperti da garanzia, fino a 100 mila euro in Italia potrà quindi considerarsi al riparo», aggiungono da AcomeA. Una vera rivoluzione per gli investitori italiani da anni abituati a investire nei bond senior bancari e nei conti di deposito considerandoli di fatto un parcheggio sicuro dal punto di vista della restituzione del capitale.

Peraltro anche sul fronte dei limiti di garanzia i Paesi europei procedono in ordine sparso. Con li caso limite della Germania che si è fatta una normativa ad hoc nei mesi scorsi proprio mentre i Paesi Ue avevano deciso nell’Ecofin di fine giugno di coprire i conti correnti fino a 100 mila euro. Con un atteggiamento double face che contribuisce a isolarla di più all’interno dell’Europa: tutela totale in casa e rigore per gli altri. Quando il Bundesrat spiegava al Parlamento europeo che «la limitazione della garanzia dei depositi a 100 mila euro comporterebbe, a livello nazionale, un significativo peggioramento per i consumatori». Una posizione che non stupisce visto che il piano di garanzia delle disastrate banche cooperative tedesche, che non a caso la Merkel vorrebbe escludere dalla Vigilanza unica, garantisce tutti i depositi detenuti da clienti privati senza limiti d’importo, mentre le banche di sistema, quelle che andranno sotto il cappello Bce, sono comunque apparentemente solide. Anche se il caso Commerzbank, abbondantemente foraggiato dal fondo salva-banche tedesco nel 2008-2009 è un precedente che dovrebbe preoccupare la Cancelliera, così come dovrebbe suggerirle più miti consigli un controllo più severo sugli attivi delle banche così come l’Unione bancaria dovrebbe imporre .

Una via quella scelta dall’Europa che peraltro potrebbe peggiorare ancora l’erogazione di prestiti in Italia. Come avverte AcomeA: «A causa della prospettiva di perdite più elevate, tutti saranno più prudenti e minore potrebbe essere la domanda, e quindi le future emissioni, di debito bancario. La ridotta capacità di emettere debito obbligherà le banche a finanziare sempre più la crescita dei loro bilanci attraverso i depositi, con una ridotta possibilità di finanziare le attività più rischiose». Il risultato in Italia quindi rischia di essere quello di avere risparmiatori spaventati che possono ormai contare solo sulla garanzia del Tfr e ancora credit crunch per le imprese. Una situazione insostenibile per le forze del Paese.

Le riunioni di Eurogruppo ed Ecofin, nel corso delle quali si è pur parlato diffusamente di crisi bancarie e meccanismi di salvataggio, non hanno sciolto la questione che comunque i Capi di Stato e di governo sono chiamati a riprendere in mano nei prossimi meeting. Per evitare un secondo, allargato e drammatico caso Cipro. (riproduzione riservata)