DI STEFANO SANSONETTI

Gli amministratori di minoranza non fanno bene alle società quotate in borsa. Per la Consob la loro presenza nei consigli di amministrazione, effetto del voto di lista, è in grado di produrre due effetti negativi: l’abuso da parte delle minoranze, con amministratori che possono perseguire interessi particolari a danno dell’interesse sociale, e un’eccessiva conflittualità nell’organo di gestione. Senza contare che, per come è andata sinora in Italia, il voto di lista ha portato a premiare solo alcune minoranze, in particolare quelle formate da investitori istituzionali. Categoria nella quale rientrano banche, assicurazioni, sgr e fondi, a ben vedere i soggetti finanziari rappresentati da Assogestioni. La Commissione nazionale per le società e la borsa, presieduta da Giuseppe Vegas, ha appena fi nito di redigere un documento critico nei confronti del voto di lista. In pratica si tratta del meccanismo che consente a minoranze qualifi cate di soci (stabilite con regolamento Consob a seconda della capitalizzazione della società) di farsi rappresentare all’interno del cda di una quotata da amministratori di minoranza. L’analisi, in particolare, è stata messa a punta da tre tecnici della Direzione Studi della Consob, tra cui il responsabile, Giovanni Siciliano. E prima di arrivare alle conclusioni, effettua un excursus giuridico sulla figura degli amministratori di minoranza. La cui obbligatorietà, all’interno degli organi di amministrazione delle società quotate, è stata introdotta dalle legge sul risparmio, la n. 262 del 2005. Una decisione alla quale si è arrivati dopo che per decenni la questione era stata sempre rimessa all’autonomia statutaria. Del resto, è scritto nel documento, non è che all’estero ci siano molti esempi simili. Insomma, un’agile analisi comparata permette ai tecnici della Consob di sottolineare che il voto di lista è un istituto «piuttosto raro nel panorama internazionale ». Se poi si esamina come la dottrina abbia affrontato in questi anni la questione, emergono diverse perplessità. Tra queste «la principale consiste nel fatto che il voto di lista può accrescere il rischio di abusi da parte delle minoranze, poiché queste possono avere incentivi a perseguire interessi propri piuttosto che l’interesse sociale». In più lo stesso voto di lista «potrebbe determinare la formazione di un gruppo di comando non omogeneo al cui interno si potrebbe sviluppare una certa confl ittualità». E per quest’ultima via «il consiglio di amministrazione rischierebbe di diventare una sede per la composizione di interessi divergenti, e ciò limiterebbe il perseguimento del compito suo proprio, cioè la gestione». Per far fronte a questi pericoli il documento della Consob, che comunque esprime un punto di vista personale degli autori (ma si tratta pur sempre di componenti della Direzione Studi), ipotizza altrettante contromisure. A proposito del rischio abuso si potrebbe prevedere che «gli amministratori di minoranza debbano possedere i requisiti di indipendenza previsti dalla legge e dallo statuto non solo nei confronti della società nel cui consiglio sono eletti, ma anche nei confronti dei soci che li hanno nominati». Quanto alla minaccia della conflittualità all’interno del cda, «si potrebbe pensare di introdurre la regola secondo cui possono utilizzare il meccanismo del voto di lista solamente soci che non intendono conseguire il controllo dell’organo di amministrazione e che quindi non sono portatori di interessi potenzialmente confl iggenti con quelli dei soci di maggioranza». Ma quali sono le minoranze prese di mira dalla Consob? In un passaggio del documento, rifacendosi a una dottrina che fa capo soprattutto a Paolo Montalenti, la Commissione scrive che è stato abbondantemente evidenziato come «lo strumento del voto di lista sia stato utilizzato non per tutelare qualsiasi minoranza, quanto piuttosto soltanto una minoranza qualifi cata dal possesso di una data percentuale del capitale sociale, identifi cabile nella maggior parte dei casi negli investitori istituzionali». Categoria, quest’ultima, nella quale rientrano banche, assicurazioni, sgr, fondi d’investimento e fondi pensione, ovvero quegli stessi soggetti che sono rappresentati da Assogestioni. L’associazione, presieduta dall’ex ministro dell’economia Domenico Siniscalco, che è country head per l’Italia della banca Usa Morgan Stanley, del resto ha ben presente il contenuto del documento Consob. Al punto da aver già deciso l’apertura di un dibattito sul suo contenuto. © Riproduzione riservata