di Carlo Giuro

La previdenza complementare in Italia va rilanciata, ma sono necessarie anche misure per concentrare il settore. Lo scrive la Corte dei conti nella Relazione sulla gestione finanziaria Inps 2011. Uno dei nodi è la necessità di razionalizzare l’offerta in modo da migliorare il servizio dati ai lavoratori. E uno dei temi chiave resta quello dei costi. Secondo uno studio americano la crescita di un punto percentuale negli oneri annuali sul patrimonio del fondo pensione comporta (su un orizzonte temporale di quarant’anni di contribuzione) una riduzione delle prestazioni pensionistiche del 27%. La normativa previdenziale entrata in vigore nel 2007, si è proposta di favorire un processo «virtuoso» di contenimento dei costi attraverso un più accentuato livello di concorrenza con l’equiparazione degli schemi pensionistici integrativi di natura occupazionale e individuale creando una comune base di riferimento su cui i fondi possono competere per massimizzare l’efficienza del mercato e il livello di welfare degli aderenti. Dal punto di vista della trasparenza sul piano generale, della confrontabilità e dell’informativa in sede di adesione la disciplina vigente appare completa. Tutte le voci di costo sono riportate nella nota informativa e sono poi vietate le strutture di costo (come in particolare commissioni di entrata elevate) che ostacolano la mobilità tra fondi e rendono più difficili i confronti. È anche obbligatorio il calcolo e la pubblicazione dell’Indicatore sintetico di costo (Isc) che esprime la loro incidenza sull’ammontare della posizione maturata per ciascun anno di partecipazione, nella nota informativa. Anche la Covip ha più volte espresso la necessità di un contenimento dei costi dei fondi pensione. In particolare l’attenzione dell’Autorità di vigilanza si è rivolta a una moral suasion per favorire una razionalizzazione dell’offerta, con la creazione di fondi di maggiore dimensione in grado di sfruttare al meglio le economie di scala. L’avvio di un significativo processo di concentrazione consentirebbe osserva l’Autorità di vigilanza, una migliore efficienza nella gestione dei fondi, una considerevole riduzione dei costi e contribuirebbe ad aumentare il livello di trasparenza, strumenti essenziali per assicurare una maggiore tutela degli iscritti e favorire lo sviluppo del sistema di previdenza complementare. Anche l’Ocse, nell’ambito del Gruppo di lavoro sulle pensioni private (Working Party on Private Pensions) nell’ambito delle sue raccomandazioni sottolinea l’importanza di porre in essere incentivi e meccanismi atti a favorire la riduzione dei costi nel settore delle pensioni. Alla riduzione dei costi, si evidenzia, contribuisce anche la dimensione degli schemi. Come sta procedendo l’opera di razionalizzazione in Italia? Così come riportato nell’ultima Relazione Covip alla fine del 2011 le forme pensionistiche complementari erano 545, 14 in meno rispetto all’anno precedente e ben 206 in meno rispetto al 1999. Il fenomeno ha interessato in modo particolare il settore dei fondi pensione preesistenti. Dal 1999, anno nel quale erano 618 le forme iscritte all’Albo, il loro numero è costantemente diminuito, attestandosi a quota 363 alla fine del 2011, di questi, 237 sono fondi autonomi e 126 interni a società in prevalenza di tipo bancario. Per quanto riguarda i fondi pensione negoziali, il fenomeno della riduzione del numero delle forme è stato meno marcato, ma altrettanto significativo. Rispetto ai 44 fondi autorizzati nel 2002, si è passati ai 38 registrati alla fine del 2011. Accanto ad alcune iniziative venute meno per il mancato raggiungimento della base associativa minima, in altri casi vi è stata la confluenza verso fondi caratterizzati da una più ampia platea di riferimento nonché da una maggiore capacità di intercettare nuove adesioni. Anche il settore fondi pensione aperti ha sperimentato una razionalizzazione, passando dai 102 fondi autorizzati nel 2001, di cui circa 80 sono nel tempo divenuti operativi, agli attuali 67. Insieme ai mutamenti intervenuti nell’assetto proprietario dei gestori dei fondi pensione aperti, altre motivazioni sono riconducibili all’opportunità di rendere più efficienti le modalità di collocamento, evitando la sovrapposizione fra diversi prodotti offerti dal medesimo intermediario. Considerazioni in parte diverse valgono invece per i Pip «nuovi»; questi ultimi costituiscono una tipologia di prodotto relativamente recente, essendo stati introdotti soltanto a seguito dell’entrata in vigore del dlgs 252/2005. Il numero complessivo dei Pip iscritti all’Albo è salito dai 72 del 2007 agli attuali 76. Interessanti anche le osservazioni sulla dimensione degli strumenti previdenziali; le 89 forme pensionistiche che alla fine del 2011 avevano più di 10.000 iscritti raggruppavano nel complesso 4,4 milioni di aderenti, pari all’89% del totale. In particolare, alle dieci forme pensionistiche con più di 100.000 iscritti risultavano aderenti 2 milioni di persone, pari al 41% del totale Lo studio non rileva invece una relazione stabile tra dimensione del comparto e costi finanziari espressi in percentuale del patrimonio. (riproduzione riservata)