di Carlo Giuro

La rendita è nel migliore dei mondi possibili la prestazione principale dei fondi pensione. ma la richiesta concreta di rendite è davvero molto ridotta. Nel 2011, attingendo ai dati Covip, nell’ambito dei fondi pensione negoziali sono state solo 37 le prestazioni sotto forma di rendita contro 20.537 prestazioni percepite in capitale; con riferimento invece ai fondi pensione aperti le rendite sono state 32 contro 5.541 prestazioni erogate sotto forma di capitale. Esaminando invece i pip le rendite sono state 14 contro 1.658 in capitale. Una realtà non incoraggiante. Considerando infatti il crescente invecchiamento della popolazione italiana diventa sempre più necessario fronteggiare il rischio longevità per cui le periodicità erogate dai fondi pensione devono divenire la forma di sostentamento più coerente tra le possibili espressioni di risparmio finalizzato, per evitare il rischio che il futuro pensionato sopravviva alle proprie risorse finanziarie. Non è un caso che la normativa in materia di previdenza integrativa consideri la rendita come la prestazione principale. Le prestazioni pensionistiche possono essere erogate al 100% sotto forma di rendita o in capitale, secondo il valore attuale, fino a un massimo del 50% del montante finale accumulato. Nel computo dell’importo complessivo erogabile in capitale sono detratte le somme erogate a titolo di anticipazione per le quali non si sia provveduto al reintegro. Eccezione prevista è rappresentata dalla circostanza in cui la rendita derivante dalla conversione di almeno il 70% del montante finale sia inferiore al 50% dell’assegno sociale. In questo caso la prestazione erogata può essere interamente sotto forma di capitale. Perché non si richiede la rendita? La scelta fra capitale e rendita è molto complessa. Vi è sicuramente un «effetto spiazzamento» dall’offerta di pensioni garantita da un sistema pubblico fino ad ora particolarmente generoso. Considerando il retaggio culturale della percezione del trattamento di fine rapporto quale somma riscossa sotto forma di capitale, ben radicata nell’immaginario collettivo italiano, sicuramente il risparmiatore nostrano apprezza la clausola di salvaguardia del poter percepire sia pure in parte la prestazione finale della previdenza complementare in forma capitale. Il Mefop ha analizzato le tipologie di rendite offerte sul mercato. La vitalizia è presente nell’82% dei fondi negoziali e nel 100% dei fondi aperti e dei pip; la reversibile è contemplata nell’82% dei negoziali, nel 98% degli aperti e nel 100% dei pip. La certa per cinque anni e poi vitalizia è offerta dal 76% dei negoziali, 90% degli aperti e 71% dei pip; la certa invece per 10 anni è presente nel 76% dei negoziali, nel 90% degli aperti e nell’2% dei pip. Vi sono anche la certa per 15 anni (0% dei negoziali, 3% fondi aperti e 9% pip) e per 20 anni (0%, 2% fondi aperti e 2% pip). Interessante è anche la rendita controassicurata, particolarmente appropriata per soddisfare esigenze successorie (74% negoziali, 8% aperti e 9% pip). In un connubio sempre più utile per il futuro che abbina previdenza- sanità esistono anche le vitalizie maggiorate per long term care (rischio di non autosufficienza) presenti nel 71% dei fondi negoziali, nel 16% dei fondi aperti e nel 4% dei pip. (riproduzione riservata)