Il primo trimestre aveva segnalato un abbozzo di ripresa. Il secondo aveva invece già mostrato un nuovo rallentamento. Ora, a nove mesi di distanza dall’inizio del 2011, le società quotate a Piazza Affari hanno messo a nudo la debolezza dei propri conti. E, al di là delle tensioni congiunturali e dei problemi di carattere internazionale sulla solidità dei debiti sovrani, le borse avevano anticipato questo andamento. Bisogna allora sperare che il rimbalzo messo a segno a ottobre dall’indice Ftse Mib risulti anche in questo caso anticipatore di un ritrovato miglioramento dei business aziendali delle società quotate nel quarto e ultimo trimestre dell’anno. Dopo aver registrato un progresso del risultato operativo del 9,5% nei primi tre mesi del 2011, l’aggregato di società industriali, banche, compagnie finanziarie e assicurative ha rallentato al +5,08% di fine giugno. E a fine di settembre il margine si è assottigliato ulteriormente a un +1,58%. Andamento simile, anzi ancora più marcato, per l’utile netto. Dal +17,8% di marzo si è passati in terreno negativo (-7,26%) già alla fine del semestre. E il dato di fine settembre suona allarmante: -57,52% rispetto ai nove mesi dell’anno scorso, con profitti totali di 10,5 miliardi (dai 24,8 del settembre 2010). Le banche sono state le maggiori responsabili dell’erosione subita dagli utili complessivi delle società quotate a Piazza Affari. Il settore bancario aveva chiuso i nove mesi del 2010 con profitti per 5,32 miliardi. Dopo dodici mesi la situazione si è ribaltata e gli istituti di credito italiani quotati hanno registrato una perdita complessiva di 5,77 miliardi. Sia ben chiaro: in 15 casi su 22 i profitti delle banche quotate sul listino milanese hanno mostrato un andamento negativo rispetto a un anno prima. Ma in valore assoluto i 10 miliardi di profitti che mancano sono quasi tutti da ricondurre a Unicredit. I conti di Piazza Cordusio sono stati pesantemente zavorrati nel corso del terzo trimestre da svalutazioni per 10 miliardi; si tratta di una pulizia di bilancio che, nelle intenzioni del ceo Federico Ghizzoni, dovrebbe costituire la base per il rilancio dell’attività bancaria, in linea con il piano strategico al 2015. Ghizzoni ha voluto mettere un punto e andare a capo dopo l’espansione degli anni sotto la guida di Alessandro Profumo. Va però detto che sul trimestre hanno pesato anche i 135 milioni di svalutazioni legate ai titoli di Stato greci presenti nel portafoglio dell’istituto. Al netto della performance di Unicredit, gli utili del settore bancario hanno fatto segnare una flessione del 18,4% e, al netto della perdita di Piazza Cordusio, si sarebbero attestati a 3,55 miliardi. Il peso di Unicredit sulla performance reddituale delle società quotate a Piazza Affari è talmente significativo da influenzare profondamente anche il risultato aggregato di tutti i settori. Senza contare l’effetto delle svalutazioni decise da Ghizzoni, infatti, l’andamento totale dei profitti rispetto al settembre del 2010 passerebbe dal citato -57,52% a un più moderato -16,56% (per un totale di 19,85 miliardi di utili). La performance generale così rimodulata (al netto cioè di Unicredit) è in linea con quanto registrato dal comparto industriale. Dalla As Roma a Zucchi, le imprese italiane hanno cioè visto gli utili assottigliarsi di circa 3 miliardi nei nove mesi 2011 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. In decisa progressione invece il fatturato (+12,46%) e in miglioramento, seppur lieve, anche l’ebitda (+3,69%). L’impossibilità di trasferire sull’ultima riga di bilancio l’incremento dei volumi si deve quindi alle voci di conto economico che riguardano gli oneri straordinari e di carattere finanziario. Proprio su quest’ultimo punto può aver avuto un impatto significativo l’incremento dell’indebitamento netto, che a fine settembre ha superato complessivamente i 231 miliardi (+7% rispetto a un anno prima). Per quanto riguarda le singole aziende, i colossi pubblici Eni ed Enel hanno registrato una performance in linea con il resto del comparto industriale. Tra le altre aziende a maggiore capitalizzazione merita un discorso a parte Fiat. Il Lingotto (solo nella parte auto) ha beneficiato, nel raffronto con il 2010, del consolidamento di Chrysler, che spiega il boom del fatturato e soprattutto dei margini, cresciuti a tripla cifra. Di segno opposto l’andamento di Edison. La società energetica di Foro Buonaparte, al centro delle delicate trattative tra i soci italiani e i francesi di Edf per il riassetto, ha registrato una perdita di 93 milioni. Il fatturato è cresciuto del 13%, ma la riduzione del contributo Cip6 e la Robin Hood Tax hanno notevolmente compresso i margini. Ancora più critica la situazione di Finmeccanica. Oltre al cambio sfavorevole euro- dollaro, alle difficoltà legate alla Libia e ai tagli ai budget dei ministeri della Difesa, che hanno inciso sull’ebitda (negativo per 188 milioni rispetto ai +856 milioni dei nove mesi del 2010), la perdita del periodo si spiega anche con gli accantonamenti e le svalutazioni legate a commesse in sofferenza da oltre 1 miliardo: a questo punto l’addio al dividendo 2011 è praticamente scontato. Di tutt’altro tenore i nove mesi di Pirelli. L’azienda milanese si è comportata in maniera molto diversa rispetto a quanto fatto dagli altri grandi player. La crescita del fatturato (+17%) è stata significativa ma non eclatante, mentre l’utile ha registrato un vero e proprio boom oltre quota 250 milioni. Il segreto di tale performance sta probabilmente nella strategia dei vertici della Bicocca, che hanno deciso di puntare tutto sul segmento degli pneumatici premium, che garantiscono appunto maggiore redditività anche a scapito dei volumi. Proprio per crescere in quel settore, però, il gruppo guidato da Marco Tronchetti Provera ha dovuto spingere sugli investimenti, portando l’indebitamento finanziario a fine settembre a un passo da 940 milioni, ben 160 milioni in più rispetto a fine giugno. Per quanto riguarda le compagnie di assicurazione quotate, che nel complesso hanno registrato 613 milioni di utile (-11,6%), va sottolineato l’andamento di Generali, il cui peso, in termini di premi lordi, è pari al 60% del comparto. Il Leone ha visto calare gli utili del 37% a 825 milioni, battendo però le previsioni del mercato. La diminuzione dei profitti, ampiamente scontata, è anche in questo caso legata alla voce «svalutazioni», leitmotiv del terzo trimestre. Nel caso della compagnia assicurativa triestina sono state pari a 824 milioni, di cui 329 relativi a titoli di Stato greci. Il write down sulle azioni invece ha pesato per 495 milioni, di cui 143 milioni per la sola quota in Telco, holding che custodisce le quote Telecom. Sempre il crollo dei mercati ha zavorrato i nove mesi di FonSai e Milano Assicurazioni, che sono arrivate al traguardo di fine settembre con perdite rispettivamente di 178 e 145 milioni. (riproduzione riservata) (ha collaborato Patrizia Morlacchi)