Di Carlo Giuro

Una nuova riforma delle pensioni attende l’Italia. In attesa di capire cosa succederà, è utile approfondire i sistemi di previdenza dei principali Paesi europei. Che in alcuni casi adottano già soluzioni flessibili che premiano chi resta di più al lavoro, come di recente ha proposto la Corte dei conti per l’Italia. Nel Regno Unito il sistema pensionistico si compone di tre elementi, i primi due obbligatori e il terzo a base volontaria: 1 una pensione pubblica di base (Basic state pension, Bsp) garantita a tutti i lavoratori e corrisposta anche tenendo conto dei periodi di cura, congedi parentali, di formazione e periodi coperti da contribuzione volontaria; 2 una pensione pubblica complementare obbligatoria (State second pension), in origine commisurata ai redditi da lavoro, ma che ora si sta gradatamente trasformando in pensione integrativa della Bsp; 3 pensioni private facoltative sulla base di fondi pensionistici che sono una parte prevalente del sistema pensionistico. Gli schemi pubblici sono finanziati con contributi a carico dei lavoratori e dei datori di lavoro e funzionano con il metodo della ripartizione. Come sostegno per i pensionati a basso reddito, è prevista una misura chiamata Pension credit, in grado di garantire un reddito minimo. Il graduale aumento dell’età pensionabile delle donne da 60 a 65 anni è iniziato nel 2010 e proseguirà fino al 2020, fino ad eguagliare quella prevista per gli uomini. Nel gennaio 2011 il governo ha annunciato nuove progressioni per l’innalzamento dell’età pensionabile e anche rallentamenti nell’adeguamento delle pensioni all’inflazione. Resta per ora in vigore la legge sulle pensioni del 2007 che ha introdotto, tra il 2024 e il 2046, il progressivo aumento dell’età di pensionamento standard a 68 anni, sia per gli uomini che per le donne. In Francia il sistema è strutturato in 38 regimi pensionistici suddivisi tra obbligatori, pubblici, a ripartizione, redistributivi e contributivi. Le prestazioni pensionistiche sono accessibili a partire da un requisito minimo di età che prevede, di conseguenza, penalizzazioni sull’importo in caso di ritiro anticipato dal lavoro. La riforma del 2010 punta alla riduzione del deficit del sistema pensionistico. L’età minima di pensionamento viene innalzata a 62 anni, con un aumento progressivo di quattro mesi l’anno a partire dal 1° luglio 2011 e arrivando a regime nel 2018. Il processo ha avuto inizio con i nati successivamente al 1° luglio 1951 che avranno direttamente un aumento di quattro mesi di lavoro. L’età per poter godere di una pensione a tasso pieno passa da 65 a 67 anni. Nel settore pubblico le età di pensionamento sono state aumentate di due anni: per gli operai da 55 a 57 anni e per gli impiegati da 60 a 62 anni. In Francia l’adesione al secondo pilastro (a ripartizione) è obbligatoria. I lavoratori vengono iscritti a una forma di previdenza integrativa sulla base del tipo di occupazione svolta (dipendenti settore privato e pubblico). I dipendenti del settore privato aderiscono ad Arrco mentre i dirigenti (sempre del settore privato) aderiscono ad Agirc. I due schemi pensionistici operano con la metodologia della ripartizione e applicano il regime della contribuzione definita. L’aliquota contributiva è pari al 16%, per il 60% a carico del datore di lavoro e per il rimanente 40% a carico del lavoratore. Al fianco di Arrco e Agirc operano alcuni fondi di previdenza riservati ai dipendenti pubblici. L’elevato spazio riservato al secondo pilastro obbligatorio ha limitato i margini di sviluppo della previdenza integrativa volontaria a capitalizzazione. Esistono due tipologie di fondi occupazionali, i Pee (Plan d’epargne retraite), schemi negoziati a livello aziendale e i Perco, anch’esso di natura aziendale. A livello individuale due sono le forme pensionistiche rilevanti; le polizze vita e i Plan d’epargne retraite populaire (Perp). In Germania il primo pilastro del sistema pensionistico tedesco garantisce la copertura a circa l’80% dei lavoratori dipendenti in Germania (35 milioni di assicurati). Altre forme pensionistiche sono previste per i dipendenti pubblici e i lavoratori autonomi. A partire dai primi anni 90 sono state approvate in Germania una serie di importanti riforme miranti a garantire la sostenibilità finanziaria e sociale del sistema pensionistico pubblico. Prendendo in considerazione le tappe più significative, il processo di riforma è iniziato a metà degli anni 90 con l’aumento dell’età pensionabile a 65 anni (sia per gli uomini che per le donne) e l’introduzione di riduzioni dell’importo della pensione in caso di pensionamento anticipato in misura del 3,6% annuo, accompagnata sul versante opposto da un bonus del 6% annuo per il differimento del pensionamento. Inoltre, nel 2005, nella formula di adeguamento della pensione è stato introdotto un fattore di sostenibilità che tiene conto delle dinamiche demografiche e, in particolare, dei mutamenti nel rapporto tra lavoratori attivi e pensionati. Negli ultimi anni, la riforma più importante ha avuto luogo nel 2007, sebbene il processo di transizione verso l’aumento dell’età pensionabile a 65 anni non si sia ancora concluso, è stato stabilito con legge un ulteriore incremento a 67 anni a partire dai nati nel 1947. La possibilità di anticipare il pensionamento a 65 anni è prevista in caso di disabilità grave e per coloro che possono far valere almeno 45 anni di contributi derivanti sia da attività lavorativa che da lavoro di cura ed educazione dei figli fino ai 10 anni di età. Avendo il sistema pubblico assicurato in passato elevati tassi di sostituzione, lo spazio per le forme di secondo e terzo pilastro fino ad oggi piuttosto limitato. Esistono quattro diverse tipologie di fondi pensione di natura occupazionale. Sono schemi pensionistici ad adesione volontaria derivanti da accordi a livello aziendale tra le parti sociali. Nel 2002 è stata attuata poi una decisa promozione di nuove forme di risparmio previdenziale individuale e volontario che godono di vantaggi fiscali per compensare la riduzione degli importi pensionistici nel regime pubblico. Dal 2005 sono presenti poi sul mercato nuove forme pensionistiche di terzo pilastro (piani Rurup). In Spagna il sistema pensionistico spagnolo prevede essenzialmente due tipologie di prestazioni: 4 pensioni contributive, direttamente proporzionate ai contributi versati e alla durata della carriera lavorativa, ma garantite anche in caso di sopraggiunta invalidità e per le vittime di atti terroristici o loro familiari; 5 pensioni non contributive, gestite dalle regioni autonome, per i soggetti che non raggiungono i requisiti minimi per la pensione contributiva e sono nullatenenti o a basso reddito. L’accesso al pensionamento standard è consentito a 65 anni di età. Attualmente, per i lavoratori che rimangono al lavoro oltre i 65 anni è previsto un aumento annuale della prestazione pensionistica del 2%. Per i lavoratori con almeno 60 anni di età, i contributi previdenziali a carico vengono ridotti del 50% e tale percentuale viene incrementata fino a raggiungere il 100% per i soggetti con 65 anni. Il pensionamento anticipato è possibile dai 61 anni con un minimo di 30 anni di contribuzione effettiva e almeno sei mesi di disoccupazione indennizzata, ma con una considerevole penalizzazione, che va dal 6 all’8% annuo (8% per coloro che hanno solo 30 anni di contributi, 6% con almeno 40 anni di contributi). Il sistema spagnolo è principalmente pubblico, il ricorso a fondi pensionistici privati è molto limitato anche se le Comunità autonome promuovono piani individuali privati con sgravi fiscali. Nel 2011 è stata approvato un aumento graduale dell’età della pensione fino a 67 anni n
el 2027. La pensione anticipata è prevista a partire dai 63 anni. Chi raggiunge la cosiddetta carriera lavorativa completa, con almeno 38 anni e sei mesi di contribuzione, potrà andare in pensione a 65 anni. (riproduzione riservata)