Stralci dell’Introduzione e delle Conclusioni del XVI Rapporto sull’economia globale e l’Italia, «La crisi che non passa», in collaborazione con il Centro di ricerca e documentazione
“Luigi Einaudi” e Ubi Banca, edito da Guerini e Associati.

di Mario Deaglio

Un sottile filone di irrazionalità continua a imperversare sumercati finanziari ancora barcollanti, a lungo sostenuti da un flusso imponente di miliardi di dollari iniettati nel sistema mondiale dalla Federal Reserve. Le economie reali dei paesi ricchi non riescono a riassorbire la disoccupazione e quasi mai raggiungono i livelli produttivi antecedenti la crisi. Il tutto sta rendendo sempre più difficile alle giovani generazioni la conquista di ampi orizzonti e favorisce giudizi decisamente irrazionali sulla tenuta del debito pubblico di paesicome gli StatiUniti e l’Italia, sorti in maniera pressoché improvvisa a fronte di una situazione strutturalmente invariata. […] La crisi non ha naturalmente risparmiato un’Italia anziana, ancora solida ma sempre più in affanno; ne ha anzi posto in evidenza vecchi dubbi e nuove difficoltà. Se dall’orizzontemondiale si sposta l’attenzione sull’Italia se ne ricava qualche motivo di «freddo conforto », in quanto l’eccezionalità della situazione interna appare un po’menotale, se proiettata sullo sfondo di una crisi mondiale; e molti motivi di calda, cocente delusione se si guarda al tempo perduto nel riconoscere il malessere e nell’applicare rimedi che oggi paiono tardivi e fors’anche inadeguati. […] Questo Rapporto si conclude con una citazione da La tempesta di Shakespeare, le ultime parole pronunciate dal protagonista, il colto Prospero, duca di Milano, dotato di arti magiche, vittima di un complotto ed esiliato su un’isola lontana […]. Per vendicarsi di chi l’ha esiliato, Prospero suscita una tempesta che fa naufragare sull’isola i suoi nemici, ma alla fine, grazie a una storia d’amore, fallisce l’obiettivo.Unametafora dei rapporti tra l’Europa, che cominciava ad affacciarsi su tutti i mari del mondo, e i paesi non europei oggetto della prima espansione coloniale. […] La «crisi che non passa» rappresenta l’occasione per una metafora diversa (dopotutto, la crisi stessa è stata più volte definita una «tempesta perfetta»). Potrebbe essere letta come la sconfitta delle «arti magiche» della finanza: la sua capacità di imporsi a livello globale come fornitrice di certezze si è di molto indebolita. La finanza viene contestata apertamente davanti ai suoi templi di Wall Street da cortei di cittadini, in prevalenza giovani, che si domandano perché le decisioni di sorreggere le banche in difficoltà vengono prese senza esitazioni, mentre quelle per sorreggere categorie sociali e paesi in difficoltà sono soggette a innumerevoli perplessità e incertezze. Nel frattempo, governatori di banche centrali e ministri dell’economia sono costretti ad ammettere l’indebolimento di una «ripresa» intessuta più di buone intenzioni che di fatti concreti. E ad ammettere, per di più, di muoversi al buio, di non avere una ricetta magica. […] Nelle vene dell’economia globale il «sangue », cioè le risorse finanziarie, inaspettatamente circola con grande fatica; c’è il rischio di trombosi, ossia di blocchi della circolazione interbancaria, con la necrotizzazione del tessuto circostante (ossia delle banche che non riescono a procurarsi liquidità). L’ideale sarebbe il ricorso a un’operazione che consenta al sangue di fluire liberamente (nuove regole per le banche, che separino i circuiti finanziari normali da quelli speculativi), ma il chirurgo esita e per intanto ricorre all’ossigeno (iniezioni di liquidità delle banche centrali). Imaggiori segnali di debolezza provengono dall’Europa. La debolezza della finanza si mescola alla debolezza delle istituzioni, per fornire un quadro decisamente problematico. Forse proprio all’Europa si possono riferire le battute finali de La tempesta, l’implorazione – che gli europei non riescono ancora a formulare – perché altri vengano in aiuto a chi, fino a poco tempo fa, con troppa sicurezza pensava di aver molto da insegnare e poco da apprendere, molte risorse finanziarie da investire mentre pochi sarebbero stati gli investimenti dei paesi emergenti in Europa. L’acquisizione indiana di gran parte dell’acciaio europeo, e quella indiana e cinese di centinaia di piccole e medie imprese nei settori più diversi mostrano quanto errate fossero queste previsioni di superiorità riconfermata. Ancora una volta il rischio di una perdurante instabilità mette a repentaglio gli equilibri mondiali, in quella che si avverte essere una crisi di sistema che ormai presenta a pieno titolo dimensioni politico-strategiche, sociali e culturali, oltre a quelle economiche. Tutte queste dimensioni dovranno diventare compatibili, le doghe di una botte sconquassata dovranno tornare a formare un contenitore efficiente, tenute assieme da nuovi cerchi, ossia nuove regole, in sostituzione di quelli vecchi e arrugginiti. Solo quando la nuova botte prenderà forma potremo dire che la crisi è passata.