L’asset management è in crisi perché le banche italiane collocano altro. Ma anche l’industria deve rinnovarsi. Perché il risparmio gestito ha molti punti di forza 

di Paolo Martini *

In Italia, nel 2006, si parlava già di esodo dal risparmio gestito. Non c’era la crisi dei mutui subprime, Lehman era una banca potente e non esistevano fondi sovrani salva Stati. I fondi comuni però continuavano a perdere masse e clienti a vantaggio di altre forme di investimento. Oggi il mondo è diverso ma la condizione del risparmio gestito in Italia non è mutata. Le cause non sono quindi da ricercare nel contesto ma nelle politiche commerciali di chi controlla la distribuzione. Le grandi banche preferiscono focalizzarsi su prodotti più remunerativi nel breve termine che richiedono anche meno impegno nel post vendita. L’industria del risparmio gestito è un’oasi in mezzo a una tempesta che finirà per sparire in un mare profondo fatto di soluzioni più opache e spesso cariche di rischi nascosti. Questo processo non sembra arrestabile perché al di là di alcune dichiarazioni di facciata e di colpe a falsi motivi (la diversa tassazione tra fondi italiani ed esteri), sono in pochi a voler salvare questa industria. Sono rimaste quasi solo le reti di promotori finanziari a credere nei fondi e si distribuiscono prodotti di case estere perché l’industria italiana è praticamente sparita. Questo è un peccato soprattutto per i clienti che perdono la possibilità di beneficiare di uno strumento che offre grandi vantaggi. I fondi grazie alla loro diversificazione consentono di ridurre i rischi e accedere a mercati lontani oggi indispensabili per investire in modo corretto considerando anche il livello di controllo a cui sono sottoposti. La pubblicazione della quota giornaliera consente di monitorare gli investimenti ma si è giunti al paradosso che questo eccesso di trasparenza è penalizzante rispetto ad altre forme di investimento diffuse oggi. Basti pensare, ad esempio, ai tanti dossier titoli delle banche che vedono obbligazioni valorizzate al valore nominale (100) quando magari il valore reale attuale è inferiore. Nei fondi obbligazionari questo non è possibile a vantaggio di soluzioni meno trasparenti. Avere un cliente poco informato conviene a molti e se si aggiunge che ci sono prodotti strutturati che rendono più commissioni subito si capisce perché il risparmio gestito stia scomparendo. C’è poi la concorrenza dei conti di deposito. È noto il clima di sfiducia che regna nel mondo bancario e, non fidandosi più tra di loro, gli istituti cercano dai clienti i soldi necessari per la loro attività. Tutto corretto peccato che nessuno consideri il rischio fallimento della controparte. Per ogni rendimento superiore al risk free (oggi il Bund tedesco) si corre un rischio. La voglia di positività ci porta a pensare che nessuna banca possa fallire ma ciò non vuol dire che sia impossibile. Basta esserne consapevoli e compiere le scelte con tutte le informazioni. Certo l’industria dei fondi ha colpe in termini di innovazione e voglia di osare senza appiattirsi dietro a benchmark che servono a giustificare risultati negativi. Ma se tutti gli attori si concentrassero sulla crescita dell’industria investendo in risorse umane e innovazione potremmo trovare il compromesso che rende il giusto servizio al cliente e soddisfa gli azionisti. Il problema è che forse non conviene quasi a nessuno. (riproduzione riservata)

* responsabile marketing e wealth management di Azimut