di Lucio Sironi

 

Al momento – comprensibilmente – appare più impegnato sul fronte della fiscalità e delle riforme legate al rilancio della crescita. Ma l’impressione è che non ci sarà molto da attendere per conoscere quali mosse potrà compiere il governo Monti sul fronte della difesa del risparmio e dell’incentivazione degli investimenti. Per almeno due buoni motivi: il primo è che le misure in questo campo sono strettamente legate al tema della crescita, che è la cosa che più manca oggi in Italia; il secondo è che lo stesso tema della previdenza, che si impone come una delle emergenze più serie sul fronte dell’economia, non può andare disgiunto dalla capacità dei cittadini di lavorare e risparmiare per l’integrazione di una pensione in prospettiva sempre più magra e più lontana nel tempo. Su questo versante il governo Berlusconi si è congedato con un lascito importante perché con le manovre finanziarie della scorsa estate sono state poste le premesse per un nuovo strumento, già presente in altri Paesi europei, che è quello dei piani di risparmio di lungo termine, ora in attesa di un decreto ministeriale che ne definisca i contorni. Tra le esperienze estere più interessanti c’è quella francese con i Plan d’épagne en actions (Pea) e quella britannica con gli Individual saving account (Isa). I risparmiatori transalpini possono inserire nei Pea (in unica soluzione o con un piano d’accumulo) azioni di società per un valore fino a 132 mila euro: restano vendibili in qualunque momento ma il regime tributario agevolato scatta solo se detenute per almeno 24 mesi. Il vantaggio è rappresentato dall’aliquota ridotta al 18% al posto del 22,5% ordinario. Se poi le azioni sono mantenute per più di cinque anni i rendimenti dei Pea sono esenti. Quanto ai britannici Isa, introdotti da oltre dieci anni, sono conti di risparmio esentasse in cui gli inglesi possono depositare fondi, azioni, bond, polizze e liquidità, ma sono meno generosi rispetto al modello francese in quanto il limite massimo è di 10.200 sterline, che scende a 5.100 nel caso in cui l’oggetto del piano sia rappresentato da cash.
Tornando al caso italiano, il presidente di Assogestioni, Domenico Siniscalco, ha affrontato il tema dei piani di risparmio individuali in un’audizione alla Commissione finanze del Senato spiegando che potrebbero consistere in fondi comuni, assicurazioni sulla vita, contratti di gestione di portafoglio rispetto ai quali il contribuente manifesta la volontà di beneficiare del regime agevolato. In linea con quanto previsto dalla riforma della tassazione delle rendite finanziarie, l’agevolazione potrebbe consistere nell’applicare l’aliquota del 12,5% al posto di quella ordinaria del 20% sui redditi di capitale e di natura finanziaria conseguiti dai privati (destinatari dell’aliquota agevolata dovrebbero essere soltanto le persone fisiche) con i titoli detenuti nell’ambito di questi piani di risparmio, con durata non inferiore ad esempio a cinque anni. Quanto alla funzione previdenziale, Siniscalco ha precisato che i piani di risparmio non sono sostitutivi o alternativi alla previdenza integrativa, ma piuttosto complementari rispetto al secondo pilastro, cioè quello della previdenza integrativa collettiva, e al terzo, ossia la previdenza integrativa individuale. Un pilastro numero quattro, insomma, in una prospettiva in cui già se ne profila un quinto, che consisterebbe nell’abbinare al reddito da pensione quello proveniente da attività part-time o di tipo collaborativo. Come dire: in pensione ma non troppo. (riproduzione riservata)