Le due italiane Unicredit e Intesa Sanpaolo sono tra le più deboli dal punto di vista della reddività e tra le più esposte ai Paesi periferici, ma se la cavano sul fronte degli attivi rischiosi. Questo uno degli aspetti che emergono dall’analisi dell’ufficio studi di Mediobanca dal titolo «Le maggiori banche europee nel primo semestre 2011», che passa in rassegna i 20 principali gruppi del Vecchio continente. Il tallone di Achille delle due maggiori banche italiane per capitalizzazione è la redditività, che gli economisti di Piazzetta Cuccia misurano atraverso l’indice Roe (Return on equity). Come sottolineano dall’ufficio studi Mediobanca, «i due principali gruppi bancari italiani segnano modesti livelli di Roe, tra il 2009 e il 2011 sistematicamente più bassi rispetto alla media europea», ossia, nel primo semestre 2011, 4,5% contro 6,5 per cento. Nel 2009 e nel 2010, «Intesa Sanpaolo ha segnato una redditività doppia rispetto a quella di Unicredit, anche se per quest’ultima il Roe del primo semestre 2011 è raddoppiato, su base annua, rispetto a fine 2010, toccando il 4,2%». In termini di Roe, a far peggio delle italiane, sono solo i principali istituti inglesi (2,6% nella prima metà dell’anno in corso) e dei Paesi Bassi (1,6%), zavorrati però dalle perdite nette di Lloyds, Rbs e Dexia. Complice la crisi, per le 20 maggiori banche europee, aumentano i crediti deteriorati iscritti a stato patrimoniale. «A fine giugno 2011 – spiegano dall’ufficio studi di Piazzetta Cuccia – i crediti dubbi lordi aggregati sono aumentati dello 0,4% sul dicembre 2010, portandosi a 476,3 miliardi». Gli incrementi più rilevanti in termini percentuali sono quelli di Deutsche Bank (+23,2%), che ha così scontato l’acquisizione di Deutsche Postbank, e Rbs (+9,2%), mentre la belga Dexia (-41,9%) e le svizzere Ubs (-17,7%) e Credit Suisse (-11,8%) hanno registrato un andamento «in forte controtendenza». Collocate nel mezzo le due italiane, con un incremento del 3,9 per cento. Gli esperti di Mediobanca hanno messo nel mirino anche uno dei temi più caldi del momento, ossia l’esposizione degli istituti di credito verso le economie dei Paesi Giips (Grecia, Italia, Irlanda, Portogallo e Spagna). Per scoprire che i 20 gruppi del panel detenevano a fine giugno 341 miliardi in titoli di stato dell’area periferica. «Gli istituti italiani e spagnoli – si legge nello studio – risultano i più esposti, scontando il cospicuo impegno relativo ai titoli dei propri governi che rientrano tra i Giips». Guardando a Bot, Btp e simili in portafoglio, primeggiano i gruppi francesi, con attività per 36,3 miliardi. Al 30 giugno, complice l’acquisizione di Bnl, Bnp Paribas risultava l’istituto non domestico più esposto verso l’Italia, con circa 34 miliardi. Altre importanti concentrazioni di titoli italiani riguardano Dexia (13,4 miliardi), Commerzbank (8,7), Crédit Agricole (8,5) e Barclays (6,1). Le due principali banche del Belpaese ottengono un buon piazzamento dal punto di vista degli attivi rischiosi. «A fine giugno 2011 – spiegano da Mediobanca – le attività cosiddette di “livello 3”, ossia quelle di problematica valutazione e smobilizzo in quanto prive di mercati liquidi, erano complessivamente pari, per i 15 istituti che pubblicano il dato dal 2008, a 249 miliardi di euro, in diminuzione di 13,6 miliardi dal dicembre 2010». Le due maggiori banche italiane si collocano tra gli istituti meno esposti rapportando il dato con il capitale di vigilanza: le incidenze sono «molto contenute» e pari al 6% e 17% rispettivamente per Intesa e Unicredit (ben al di sotto del valore medio del panel). Le attività ponderate per il rischio risultano, invece, calate del 3,4% tra il 2008 ed il 2010, arrivando a 7.239 miliardi. Le riduzioni più importanti hanno riguardato Lloyds (-22,3%), Rbs (-20,9%), Commerzbank (-14,5%), Dexia e Intesa Sanpaolo (-11,3%). Limitatamente ai 12 istituti che hanno già consegnato i dati del terzo trimestre (non è il caso delle due italiane), gli analisti di Mediobanca hanno tirato le somme sui primi nove mesi del 2011: «Si segnala il ristagno dei ricavi, la conferma della flessione delle perdite su creditie la riduzione del risultato netto» che ripiega dell’8,7 per cento