Regole uguali per tutti è l’obiettivo in campo previdenziale su cui punta in nuovo governo guidato da Mario Monti. Che ha affidato il ministero del Welfare a Elsa Fornero, ordinario di economia politica all’Università di Torino ed esperta di previdenza. La professoressa aveva presentato nei mesi scorsi un progetto di riforma dell’intero sistema, un piano che prevede dal 2012 l’estensione del metodo contributivo per gli anni che restano fino alla pensione a tutti i lavoratori, compresi quindi quelli che nell’anno 1996 lavoravano da almeno 18 anni. A questo si affianca il superamento della pensione di anzianità con l’introduzione della flessibilità nell’età di pensionamento. In particolare Elsa Fornero proponeva che ai lavoratori che abbiano maturato almeno cinque anni di contributi sia lasciata la libertà di scegliere a che età andare in pensione in una forchetta compresa tra 63 e 68-70 anni. Consentito anche il pensionamento prima dei 63 anni, ma in questo caso la pensione sarà calcolata interamente con il sistema contributivo e l’accesso alla pensione sarà consentito solo se la pensione supera 1,2 volte l’ammontare dell’assegno sociale. In più ci dovrebbe essere un riordino del sistema delle aliquote contributive, che oggi oscillano tra l’8,6% dei deputati al 33% dei lavoratori dipendenti per arrivare a un sistema più equilibrato. Si preme quindi l’acceleratore sul sistema contributivo, che farà dipendere la pensione dai versamenti effettuati durante la vita lavorativa, rivalutati in base alla crescita del Pil. L’assegno pubblico non sarà più pari al 70% degli ultimi stipendi, come avveniva con il retributivo, ma dipenderà da più fattori, quali la crescita dell’economia, la carriera, l’aumento della speranza di vita. Pertanto chi andrà in pensione con questo metodo deve riflettere su una possibile integrazione dell’assegno futuro. Quella che dovrebbe essere dato dalla previdenza complementare, che però in Italia stenta a decollare. L’associazione dei fondi pensione negoziali ha calcolato che il numero di iscritti al 30 settembre era di circa 2 milioni, sostanzialmente invariato rispetto alla fine del 2010, e l’attivo netto destinato alle prestazioni si attesta attorno ai 24 miliardi. Mentre dal punto di vista dei rendimenti, da inizio anno i fondi hanno registrato una performance negativa dell’1,6%, contro il +2,6% del Tfr. «Questi dati si inseriscono in un trimestre caratterizzato da un forte peggioramento delle prospettive di crescita dell’economia mondiale», spiegano da Assofondipensione. «Nell’area euro la crisi del debito sovrano si è aggravata, estendendosi all’Italia e alla Spagna. I premi per il rischio sui titoli pubblici, misurati dal differenziale di rendimento rispetto al Bund tedesco, si sono ampliati rendendo necessario l’intervento straordinario di acquisto titoli italiani e spagnoli da parte della Banca Centrale Europea». A questa situazione si è aggiunto anche il rosso delle borse. Dalla fine di luglio i corsi azionari sono drasticamente diminuiti. Nel complesso, nel terzo trimestre l’indice Dow Jones Euro Stoxx e l’indice statunitense S&P500 sono scesi del 24% e del 16%. E si è registrato un marcato aumento della volatilità sui mercati finanziari. Le decisioni adottate dall’Unione europea a oggi non hanno mitigato le tensioni sulla possibilità di contagio finanziario agli altri paesi dell’area euro. Al di là dei risultati nell’anno nero dei mercati, anche per i fondi pensione sarebbe necessario un intervento per renderli più efficienti, trasparenti e fiscalmente vantaggiosi per i risparmiatori. Come ha sottolineato anche la Corte dei Conti nella relazione sui conti dell’Inps: «Un recente dibattito si sta sviluppando sul ruolo, l’efficienza e l’efficacia dei fondi complementari, in ragione soprattutto delle scarse adesioni, degli alti costi e dei bassi e incerti rendimenti che ne mettono in discussione gli stessi fondamenti e la capacità di assicurare una effettiva e solida funzione integrativa della prestazione pensionistica pubblica. In vista dell’entrata a regime del metodo contributivo, le riflessioni puntano sull’accrescimento volontario della quota di versamenti, quale meccanismo più semplice e meno costoso per il perseguimento della medesima finalità, che consentirebbe altresì la restituzione del Tfr alle originarie funzioni di autofinanziamento delle aziende». La Corte dei Conti suggerisce di togliere l’irreversibilità della scelta sull’adesione ai fondi con il Tfr e un processo di fusione tra i fondi che li renda meno costosi e più efficienti. (riproduzione riservata)