La Banca d’Italia ha sparato alto, sostenendo che la situazione domestica resta sostenibile anche con i rendimenti all’8 per cento. Che ne pensano gli operatori? «I Btp non fanno deragliare l’Italia anche se arrivano sopra il 7%, ossia oltre i 500 punti di spread – dice a B&F Giorgio Arfaras, presidente di Scm Sim – Si può immaginare che a quel punto qualcosa sarà fatto. Fra i Piigs, i Btp sono la cosa migliore. Il livello dei rendimenti tedesco pari al 2%, ossia 0% se si considera l’inflazione, non può che salire nel tempo. Non è un investimento sicuro nel lungo termine: il prezzo dovrebbe flettere del 10-15% per riportare il rendimento al 3,5%, quello di equilibrio». È più o meno questa l’opinione del mercato: meglio assumersi un rischio (calcolato) investendo in titoli del Tesoro che perdere tempo con Bund del tutto flat quanto a rendimento. «Titoli di Stato italiani ma privilegiando scadenze a breve, entro l’anno – fa notare Leonardo Cervelli, deputy ceo di Sella Gestioni – anche perché investendo in Bund si affrontano ugualmente rischi di perdite nel capitale dal momento che con gli attuali tassi inferiori al 2% non si copre neanche il costo dell’inflazione e sono alte le probabilità di vedere in un futuro rendimenti più alti, e dunque corsi notevolmente più bassi. Tra i Paesi cosiddetti periferici, vediamo con interesse i titoli governativi spagnoli». Quanto ai titoli dei Paesi core, «gli ultimi avvenimenti hanno messo in discussione il concetto di investimenti tranquilli – conferma Maria Paola Toschi, market strategist di JpMorgan Asset Management – S&P ha recentemente messo sotto osservazione anche la Francia, uno dei Paesi AAA dell’Europa, per effetto della fragilità del sistema bancario, molto esposto alla Grecia. Inoltre l’ampliamento dei piani di aiuto e supporto ai periferici peggiora il posizionamento fiscale anche dei Paesi più virtuosi. Dunque i rischi ci sono a fronte di rendimenti molto risicati ed elevati livelli di valutazione, come conseguenza della passata strategia di ricerca di porti sicuri». «In questo momento – aggiunge Matteo Astolfi, sales director di M&G Investments in Italia – per noi anche la Francia è a rischio, per cui abbiamo una posizione piuttosto cauta sui governativi, investendo quasi esclusivamente in Germania e Inghilterra. Nei periferici diversi dall’Italia è in atto il decoupling tra governativi e corporate, a favore di queste ultime: le aziende private possono fare e hanno già operato azioni per determinare il loro destino in modo positivo aumentando le entrate, tagliando i costi, allungando le scadenze del debito, aumentando la liquidità in bilancio, tutte manovre che per uno Stato, e in particolare per uno Stato periferico, sono molto più difficili da intraprendere».
Attenzione anche alla liquidità. «Non vedo motivi – dice Michele de Michelis, responsabile degli investimenti per Frame Asset Management – per vendere un Cct in perdita secca del 10% per poi depositare il denaro in una banca il cui patrimonio è investito soprattutto in titoli di Stato italiani. Se credo che lo Stato fallisca, e con esso le banche, allora è meglio comprare titoli di Stato norvegesi o canadesi, nazioni senza deficit». Tornando all’Italia, «gli spread tra Btp e Bund resteranno sotto pressione al rialzo dato il persistere di un contesto di bassa credibilità – aggiunge Toschi – Tuttavia il livello attuale dello spread sta scontando già uno scenario molto critico e ciò, come spesso avviene, può rappresentare un’opportunità. Pensiamo che gli altri Pigs presentino un eccessivo grado di rischiosità. I piani di rientro del debito e di recupero di sostenibilità fiscale sono resi più difficili dal contesto di rallentamento economico che si sta confermando soprattutto nell’area europea. La Grecia è giunta alla fine dei giochi. La Spagna sta ancora fronteggiando l’elevata disoccupazione e le conseguenze della bolla immobiliare. Tutto ciò fa prevedere un ulteriore possibile deterioramento del contesto».