L’integrativa non decolla. Fondo tesoreria a rischio collasso 
 di Daniele Cirioli  

La Corte dei conti boccia il trasferimento del tfr verso i fondi pensione. Il fatto di doverlo destinare in via irreversibile frena le adesioni alla previdenza integrativa; meglio sarebbe accrescere la quota di versamenti volontari. Non solo; la magistratura contabile lancia anche l’allarme sul silente debito pubblico rappresentato dal tfr dirottato verso il fondo di tesoreria, che nel 2010 ha raggiunto la cifra di 15,86 miliardi di euro «senza corrispondente copertura». Perciò occorre ridare al tfr l’originaria funzione di autofinanziamento delle aziende. È quanto si legge, tra l’altro, nella determinazione n. 77/2011 con la relazione della sezione controllo della corte dei conti sul risultato della gestione Inps per l’esercizio 2010.

 

Pensioni pubbliche. L’analisi della Corte dei conti riguarda tutti gli aspetti della gestione Inps, da quello amministrativo fino al contenzioso. Relativamente al tema delle pensioni pubbliche, interessato da più interventi di riforma negli ultimi tempi, secondo la Corte è ancora presto per mettere la parola «fine». Il cantiere pensione, scrivono i giudici, non è ancora del tutto concluso, ma richiede, in attesa della lenta transizione al metodo contributivo, almeno ulteriori interventi di manutenzione volti alla correzione, tra l’altro, dei dissesti prodotti dall’eccessiva generosità del metodo retributivo. Secondo la Corte, le recenti riforme, e in modo particolare le misure relative alla speranza di vita (con l’automatico incremento dell’età pensionabile) e della finestra mobile, garantiscono la sostenibilità del sistema previdenza, tanto che nelle proiezioni Eurostat 2008-2060 l’Italia si colloca tra i paesi più in regola a fine periodo. Tuttavia (è questo il nodo centrale per la Corte), spostano l’attenzione su un altro fronte, che è quello dell’adeguatezza delle prestazioni e «da cui dipende l’accettabilità politico-sociale del sistema pensionistico pubblico e il rispetto del patto intergenerazionale su cui si fonda». Un problema preoccupante per la Corte, in quanto poco supportato dalla previdenza complementare. Infatti, la frammentazione dei Fondi, la scarsità delle adesioni, gli alti costi di gestione e i bassi e incerti rendimenti, mettono in discussione la capacità del sistema complementare di assicurare un’effettiva e solida funzione integrativa alla pensione pubblica.

 

Previdenza integrativa. Per porre rimedio allo scarso appeal della previdenza integrativa, la corte dei conti guarda in primo luogo a una riforma del «ruolo» del tfr, perché l’irreversibilità della scelta sul suo conferimento ai fondi ha costituito la principale remora alla crescita delle adesioni. Meglio sarebbe, allora, puntare sull’accrescimento volontario della quota di versamenti; un meccanismo più semplice e meno costoso e che consentirebbe, altresì, di restituire il tfr alle originarie funzioni di autofinanziamento delle aziende e soprattutto di sostegno all’economia. Secondo la Corte, ancora, appare indilazionabile la riforma di FondInps, oggi il fondo preferito (specializzato) dei lavoratori precari. FondInps, si legge nelle relazione, è connotato dalla completa esternalizzazione dei servizi amministrativi e contabili, da precarietà logistica e funzionale, da elevati e crescenti costi di gestione e da un probabile assorbimento degli iscritti, per effetto dell’attivazione di un apposito fondo di categoria (Fontemp).

 

«Esproprio senza indennizzo». A rafforzare l’idea del ritorno all’originario ruolo di autofinanziamento delle imprese contribuisce, secondo la corte, il risultato del trasloco forzoso del tfr verso il fondo di tesoreria a carico delle aziende con 50 dipendenti almeno, un’operazione assimilabile a una sorta di «esproprio senza indennizzo». Per la Corte la situazione è preoccupante; il fondo nel 2010 registra entrate contributive per 5,4 miliardi di euro e prestazioni (liquidazioni e anticipazioni del tfr) per oltre 1,6 miliardi di euro. Il problema sta nella gestione (che è ripartizione) e che si «traduce sostanzialmente in un crescente debito a carico delle finanze pubbliche per fronteggiare le future prestazioni, senza corrispondente copertura». Un debito che, al 2010, ha raggiunto la preoccupante cifra di 15,86 miliardi di euro.