ANDREA GRECO

È il più grande cassettista del paese. Ovvio che, in un momento simile, trepidi per i suoi Btp e Bot (ne ha in portafoglio per 50 miliardi di euro, metà delle riserve italiane). Quei titoli, che a differenza delle banche sono valutati al prezzo di mercato, da gennaio alla fine di settembre hanno limato di 787 milioni il patrimonio netto. Conseguentemente, l’indice Solvency si è ridotto al 118% a settembre (dal 132% a fine 2010), e attualmente è scivolato a 115%. Livelli di guardia, per gente prudente come i triestini.
L’ad Giovanni Perissinotto agli analisti ha detto: «Al momento non vedo motivi per cambiare la politica del dividendo, ma il board prenderà una decisione sulla base dei risultati di fine anno e del livello di Solvency». Se perdura la buriana finanziaria, insomma, potrebbero passare in secondo piano sia le ambizioni strategiche come l’espansione in Russia con Vtb, oggi in stand by sia la soddisfazione degli azionisti. Anche perché fra tre anni il Leone dovrà staccare un assegno da 2,53 miliardi (forse qualche euro meno, dato il clima) per onorare l’opzione di vendita concessa alla ceca Ppf sulla paritetica che opera a Est. Non sarà facile trovare tutti quei soldi con la generazione di cassa, tanto più che il direttore finanziario Raffaele Agrusti venerdì ha detto che la precedente stima di un free cash flow di 4 miliardi al 2014, «nell’attuale contesto che induce a essere più restrittivi, è sicuramente eccessiva».
A mettere tra parentesi le furiose dinamiche del mercato, il Leone di Trieste non se la passerebbe male. Le svalutazioni sui titoli greci e sull’azionario si sono mangiate l’utile trimestrale, ma il ramo Danni prosegue nel riassetto con «la performance migliore da tre anni», e un risultato salito da 296 a 405 milioni. Nel Vita, l’aumento vistoso dei tassi reali di mercato ha tolto fascino ai prodotti, visto che ormai ogni conto di deposito bancario arriva a offrire quel 44,5% che solo un anno fa era prerogativa dei prodotti Vita; e non è facile piazzare polizze unit linked, dato l’andamento dei fondi comuni sottostanti. Difatti il risultato operativo si è più che dimezzato nell’ultimo trimestre, fino a 314,8 milioni. «Per Generali, come per tutto il comparto, vediamo due dinamiche contrapposte dice Gianluca Ferrari, analista di Mediobanca Securities sostenuti miglioramenti nella parte tecnica, dopo tre anni di perdite, mentre le attività finanziarie scontano il peggio possibile, tra rischio sovrano, stralcio dei bond greci e cali di Borsa. Se questo scenario durerà, il management dovrà fare attenzione al patrimonio, e alla scadenza della put con Ppf: potrebbe non essere facile per il gruppo far fronte a quell’onere con la sola generazione di cassa».
Riecheggia un po’ la sindrome da “primo cassettista del paese” insomma, un po’ compresso dalla grave situazione entro i confini, dove stanno molti dei suoi forzieri. L’attuale crisi, tuttavia, offende le assicurazioni meno delle banche, per le diverse caratteristiche dei modelli di business: le prime hanno, infatti, il vantaggio di non dover finanziare i loro investimenti sui mercati, perché quasi tutta la raccolta giunge loro dai premi dei clienti. Non è casuale se in Borsa, da gennaio, la performance relativa del comparto assicurativo è attorno al 30% rispetto al settore bancario, quasi a colmare uno scarto apertosi dal 2002, quando otto dei primi dieci gruppi assicurativi europei (tranne Axa e Generali) dovettero ricapitalizzare per le troppe perdite sui listini dopo il collasso della new economy.
Tuttavia, tra gli addetti ai lavori vi è chi trova nell’esposizione mostruosa di Generali al debito italiano argomenti e implicazioni positive. Si basano sul concetto di asset/liabilities mismatch, traducibile in sfasamento sia temporale sia geografico tra raccolta premi e investimenti. «Il mismatch si verifica quando un assicuratore investe in un’attività non coperta da obbligazioni di natura simile», recita un fresco studio di Jp Morgan, che ha stimato, a mo’ di esempio, come Allianz abbia uno sfasamento sull’Italia, perché ha 28,2 miliardi di esposizione in bond sovrani a fronte di soli 19 miliardi di passività in loco. Il problema, prospettico, potrebbe venire «se l’Italia uscisse dall’euro, o anche solo stralciasse parte del suo debito pubblico, mentre così non sarebbe per le passività». «L’allineamento tra attivi e passivi è una misura chiave della rischiosità di un assicuratore spiega Massimo Figna, gestore del fondo hedge Tenax Capital perché anche se non ha impatto sul patrimonio è decisivo dal punto di vista economico. Nella congiuntura positiva gli analisti di settore non ci facevano caso, mentre nell’attuale stress diventa fondamentale allineare le poste e tenere un rischio basso».
Lo stralcio di asset greci che ha falcidiato i proventi trimestrali di un po’ tutto il settore è un esempio calzante: erano asset ad alto rendimento, ma ora il loro rischio viene al pettine, e quasi mai quelle perdite sono compensate da paralleli “alleggerimenti” di passività elleniche. Merrill Lynch ha sostenuto di recente che Generali è la compagnia europea con la migliore corrispondenza attivi/passivi, e questo secondo gli addetti offre riparo all’azione in Borsa, che negli ultimi tre mesi ha guadagnato il 9,5% contro il 5,6% dell’indice Stoxx settoriale.