Conta l’incremento marginale 
 Pagina a cura di Adelaide Caravaglios  

Ai fini della configurabilità oggettiva del danno ambientale ciò che rileva non è tanto il livello di inquinamento in senso assoluto, quanto il suo incremento rispetto alle condizioni originarie: è questo il principio di diritto che emerge dalla sentenza n. 36818/2011 della Suprema corte.

 

Nel caso sottoposto all’attenzione degli ermellini, i responsabili civile e legale di una società autorizzata all’esercizio della discarica di rifiuti speciali inerti non pericolosi venivano condannati al pagamento di una provvisionale di 200.000,00 – oltre alle spese processuali e di rappresentanza e assistenza per la parte civile – per aver «violato le prescrizioni impartite nel provvedimento autorizzatorio», accettando che venissero recapitati rifiuti speciali tossici e nocivi, «non rispondenti alla definizione di rifiuto inerte indicata nel provvedimento autorizzatorio» stesso e per non aver provveduto a delimitare la zona adibita allo stoccaggio dei rifiuti contenenti amianto.

Ricorsi per cassazione, entrambi gli imputati lamentano – tra gli «analoghi motivi di doglianza» – l’insussistenza del danno ambientale (dal momento che la discarica è ex se un luogo inquinato) e l’erronea applicazione dell’art. 1, comma 3, del dm n. 141/2998, sulle norme per lo smaltimento in discarica dei rifiuti e per la catalogazione di quelli pericolosi: «L’accertata presenza in discarica di rifiuti di tipologia diversa e maggiormente inquinante rispetto a quella per la quale la discarica stessa era stata autorizzata», chiarisce Piazza Cavour, «è di per sé sufficiente a configurare un danno ambientale»: in una simile fattispecie trova, infatti, applicazione l’art. 300, comma 2, lett. d), del dlgs 152/2006, ai sensi del quale il danno in oggetto consisterebbe nel deterioramento, rispetto alle condizioni originarie, del terreno «mediante qualsiasi contaminazione che crei un rischio significativo di effetti nocivi sulla salute umana» a seguito dell’introduzione nel suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l’ambiente. Quanto alla responsabilità del gestore, i giudici precisano che nella formulazione del testo normativo è intrinseco «un generale obbligo di controllo da assolversi con tutti i mezzi idonei»: non può considerarsi sufficiente, quindi, il mero controllo visivo.