Il Tesoro italiano a 12 mesi paga sul mercato molto più di Fiat, che ha rating speculativo e offre poco più del 5%. Lo spread con i Bund a 10 anni ha superato 570 pb e ci sono Cct a 5 anni che rendono il 10,7% 

di Stefania Peveraro

Quella di oggi sarà l’asta Bot più cara degli ultimi 15 anni per il Tesoro italiano, visto che ieri il titolo a 12 mesi è arrivato a toccare un rendimento in denaro di oltre l’8,4%. A far scattare l’ultima follia è stata la decisione da parte delle casse di compensazione e garanzia europee di aumentare i margini iniziali chiesti per le operazioni di pronti contro termine su titoli di Stato italiani (si veda articolo a pag. 4).

 

Come dire che i titoli del debito non sono più sicuri per il sistema.

Ecco perché i rendimenti sono schizzati al rialzo e quelli dei Bot a 12 mesi hanno raggiunto in denaro un livello che sul secondario non si vedeva dall’agosto 1996 e che ieri ha rappresentato anche il massimo pagato su tutte le principali scadenze del debito italiano, sebbene in lettera il rendimento fosse contemporaneamente ben inferiore, cioè «solo» il 6,85%. L’altro segnale della grave crisi che si sta consumando sui mercati del debito pubblico italiano arriva proprio dai differenziali di prezzo tra denaro e lettera che, in particolare sulle scadenze più corte, si sono allargati a livelli incredibili per titoli che fino a poco fa erano liquidissimi. Come sempre accade quando si vuole mettere un debitore sotto pressione, le scadenze più brevi sono diventate anche quelle percepite come più rischiose dal mercato, proprio perché si teme (e qui la speculazione è una vera iena) che il Tesoro italiano non sia in grado di rifinanziarsi e quindi di rimborsare i titoli in scadenza. Ipotesi fantasiosa se non irrealistica: da qui a fine anno il Tesoro ha scadenze solo per altri 37 miliardi e deve emettere poco meno di 35 miliardi di euro di titoli per completare il programma di emissioni 2011. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, senza contare l’asta Bot di oggi, il Tesoro ha già piazzato circa il 92% dei 430 miliardi di euro di titoli che aveva previsto di collocare quest’anno. Nel primo trimestre 2012, il Tesoro ha scadenze per 112 miliardi (49 miliardi di Bot, 40,7 miliardi di Btp, 12,3 miliardi di Cct e 10,6 miliardi di Ctz), che salgono a un totale di 308 miliardi per l’intero anno, mentre le emissioni lorde previste sono di circa 440 miliardi.

 

Certamente, visti i tassi di mercato, le prossime aste (5 miliardi di euro di Bot a 12 mesi oggi e 1,5-3 miliardi di Btp a 5 anni lunedì 14 novembre) non potranno che registrare rendimenti record. Il Btp a dieci anni ieri è arrivato a pagare un massimo al 7,46% con lo spread contro Bund che si è allargato sino a 574 punti base attorno a mezzogiorno, per poi ripiegare verso 550, mentre il picco del differenziale a 5 anni si è avuto circa un’ora dopo a 682 pb e quello del Btp a 2 anni è arrivato attorno alle 16 quando ha toccato quota 702.

Intanto, se si sposta l’angolo di osservazione ai titoli di Stato diversi dai Btp benchmark, si moltiplicano quelle che paiono occasioni imperdibili di investimento, già segnalate da Milano Finanza in edicola. Qualche esempio? Il Cct a luglio 2016 ieri rendeva in lettera il 10,7%, mentre il Cct al dicembre 2014 offriva il 10,1%. Non solo. Anche accorciando le scadenze ormai si possono portare a casa guadagni di tutto rispetto: il Cct a marzo 2012 ieri pagava il 7,9% e bastava guardare al novembre 2012 per arrivare all’8,4%. Ma ancora più ricchi sono i rendimenti garantiti dai Btp indicizzati all’inflazione: il titolo 2021, ipotizzando un’inflazione media annua del 2,6% per i prossimi dieci anni, ieri pagava il 9,2%, ma anche soltanto il Btpei a scadenza settembre 2012, questa volta ipotizzando un’inflazione del solo 2%, ieri offriva l’8,8%.

 

Si tratta insomma di rendimenti ormai imbattibili per tutti i principali emittenti corporate e bancari italiani. Sino a poche settimane fa solo i corporate con alto merito di credito riuscivano a spuntare rendimenti più contenuti di quelli dello Stato italiano su scadenze analoghe, mentre oggi la stessa cosa riesce persino a Fiat, che ha un rating speculativo. Sulla scadenza dicembre 2012, infatti, Fiat (rating Baa3/BB/BB di Moody’s/S&P/Fitch) paga solo il 5,06%, mentre Telecom Italia (Baa2/BBB/BBB) offre il 4,46%. Per titoli che scadono a metà 2013, invece, Enel (A3/A/A) paga il 3%, mentre Eni (A1/A+/nd) a gennaio 2014 offre il 2,5%. Leggermente più generoso l’altro colosso a partecipazione pubblica: Finmeccanica (Baa2/BBB/BBB) a dicembre 2013 paga il 3,87%. Lo stesso discorso vale per i bond delle banche italiane, che a loro volta sembrano ormai davvero poco generosi. Il bond Unicredit (A2/A/A) a scadenza febbraio 2014 ieri pagava il 6,16%, quello di Intesa Sanpaolo (A2/A/A) al giugno 2017 offriva il 6,51% e quello di Mps (Baa1/BBB+/BBB+) a febbraio 2015 rendeva il 5,04%.

Il tutto mentre aumenta la percezione del rischio sulle banche internazionali ritenute più esposte sui titoli del debito sovrano italiano, a partire da quelle francesi. Con la conseguenza che anche il debito dello stato francese ne soffre: ieri lo spread tra gli Oat a 10 anni e i Bund ha toccato un nuovo massimo a 147 pb. (riproduzione riservata)