Per l’ex governatore la mossa servirà a fronteggiare una lieve recessione in arrivo, rilanciando le economie Superata l’ossessione inflazione. Sollievo dei grandi riuniti al G20, borse in festa. L’Italia si affretti sul debito

di Roberto Sommella 

La notizia più importante per i destini europei ieri è arrivata da Francoforte, e non da un G20 sotto tono che non promette per ora nulla di concreto. Con la decisione della Bce, presa ieri all’unanimità, di ridurre il costo del denaro per fronteggiare i rischi di recessione, Mario Draghi ha levato le castagne dal fuoco ai Grandi della terra riuniti a Cannes e ha in qualche modo di fatto oscurato le possibili decisioni sul caso Grecia-Eurozona di personaggi del calibro di Obama, Merkel, Sarkozy e Hu Jintao.

 

Se il buon giorno si vede dal mattino, l’inatteso taglio all’1,25% del tasso di riferimento effettuato a sorpresa dal neopresidente italiano dell’Eurotower nella sua prima seduta da numero uno è la risposta migliore a chi aveva ancora dubbi sulle sue capacità di essere allo stesso tempo pragmatico e rispettoso dei Trattati.

Con buona pace dei falchi tedeschi che ora, ha rivelato una fonte diplomatica a MF-Milano Finanza, con l’Europa quasi in recessione (e la Germania che deve fronteggiare per la prima volta un aumento della disoccupazione) rischiano di finire «impagliati». Tutti i capi di Stato riuniti sulla Croisette hanno infatti colto con un sospiro di sollievo la notizia bomba arrivata da Francoforte: da Washington a Pechino è stato tutto un levare di calici, anche perché di ricette miracolose in grado di tonificare economie in affanno come quella americana, o in panne come l’Eurozona, non ce ne sono. A meno che non diventino realtà le voci di un insistente pressing da parte degli Usa su Angela Merkel e sulla stessa Bce affinché quest’ultima trasformi il suo Dna in qualcosa di molto vicino alla Fed (si veda altro articolo in pagina), rendendo stabili gli acquisti di titoli di Stato. Figurarsi quindi quanto importante può essere la scelta dell’ex governatore (che ha condotto la riunione dei banchieri centrali insieme ai colleghi italiani Lorenzo Bini Smaghi e Ignazio Visco) per l’Italia: l’annuncio del taglio della Banca Centrale Europea ha persino strappato un sorriso al suo avversario di sempre, il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che a Cannes partecipa con Silvio Berlusconi alle riunioni del meeting internazionale in un clima di evidente tregua armata. «Draghi ha mostrato di avere gli attributi e di non temere di passare per colomba», ha confidato un banchiere a MF-Milano Finanza, ricordando il fatto che un tale coraggio avrebbero dovuto averlo più di un anno fa il cancelliere tedesco e il presidente della Repubblica francese. Ma così va il mondo: una sola persona, soprattutto decisionista come Draghi, riesce in quello in cui falliscono decine di vertici mondiali senza costrutto. E le reazioni sono tutte improntate all’ottimismo, a cominciare da quelle delle borse che per una volta ieri hanno tutte chiuso con rialzi importanti (Milano +3,2%), per finire con i commenti degli specialisti.

Da ieri Draghi, queste le opinioni che corrono da una parte all’altra dell’Europa, ha forse avviato un nuovo corso per una Bce (e forse per l’economia europea), da tempo chiusa nella corazza di un istituto troppo preso dalla funzione di guardiano dei prezzi, piuttosto che di stimolatore della crescita. Certo, i compiti da fare a casa sono pesanti. Per tutti.

Se la lieve recessione in arrivo è il motivo principale per cui i banchieri centrali hanno deciso di dare fiato all’economia del Vecchio continente, gli stessi tutori dell’euro tornano nei rispettivi Paesi con tre principi cardine da mettere subito in pratica: riduzione rapida dei deficit e del debito pubblico (Italia in primis, con la Spagna e gli altri Pigs), avvio di riforme strutturali («sono essenziali e dovrebbero focalizzarsi sulla rimozione delle rigidità e sulla flessibilità salariale», ha detto Draghi), e predisposizione all’occorrenza di ulteriori manovre di aggiustamento dei conti pubblici. Un messaggio che, soprattutto per il governo Berlusconi, appeso a un filo della sua maggioranza parlamentare e delle promesse della lettera Ue, va interpretato come un monito a non perdere un minuto di più, perché, con gli spread sopra quota 460, tutti i Paesi «devono mostrare una determinazione inflessibile a onorare i pagamenti sui titoli di Stato».

La riduzione del costo del denaro nell’Eurozona dall’1,50% all’1,25% non risolve ovviamente tutti i problemi. E lo ha spiegato chiaramente Draghi, da poco più di 48 ore nel suo ufficio al 35esimo piano dell’Eurotower, senza avere con sé alcun collaboratore italiano, avendo ereditato per ora in toto lo staff e le due segretarie di Jean-Claude Trichet.

Tutto bene quindi? Non proprio, perché il ritocco dei tassi è l’ennesimo segnale di una congiuntura economica che si sta deteriorando. È stato proprio il neopresidente a spiegare che la decisione è stata presa alla luce di una molteplicità di indicatori che segnalano un rallentamento dell’attività. Si profila una «consistente revisione al ribasso» delle previsioni di crescita economica da parte dei tecnici della Bce, che verranno aggiornate il mese prossimo. Si rischia persino una «lieve recessione» sul finale dell’anno, ha ammonito ancora il presidente della Bce. Tanto che a fronte di un’inflazione media dell’area euro attualmente al 3%, i banchieri centrali prevedono un suo rientro sotto il 2% il prossimo anno.

 

 

Resta peraltro alquanto allarmante il quadro della finanza pubblica di Eurolandia. Come si è visto in questi giorni, i mercati possono cambiare orientamento e tornare a crollare con estrema facilità. Per questo Draghi ha ammonito chi nutre troppe speranze nell’ombrello della Bce sui titoli di Stato, che resta comunque ben limitato (che ne penserà Obama?). «Fin dall’inizio abbiamo chiarito che il nostro era un programma, primo, temporaneo, secondo, limitato e, terzo, finalizzato a ristabilire la corretta trasmissione della politica monetaria», ha detto, «nessuno ci costringe ad acquistare bond, compresi quelli italiani, siamo totalmente autonomi e indipendenti». Il pallino resta e resterà sempre ai governi nazionali perché «serve a poco pensare che i rendimenti potrebbero scendere per interventi esterni, il primo pilastro è nelle risposte nazionali». I governi dei Paesi ai quali Ue e Fmi hanno accordato aiuti e quelli dei Paesi particolarmente vulnerabili dovranno quindi essere pronti a prendere ulteriori misure, perché è «cruciale» il consolidamento fiscale. (riproduzione riservata)