ADRIANO BONAFEDE

«Il sistema assicurativo è molto meno esposto ai rischi dei mercati finanziari rispetto a quello bancario. Al momento, il nostro resta un problema fondamentalmente contabile, che è la perdita di valore degli attivi, visto che generalmente vengono valutati a prezzi di mercato. Ma non esiste un rischio sistemico». Fabio Cerchiai, Presidente dell’Ania, l’associazione fra le imprese assicurative, non sembra preoccupato. Dal punto di vista del SistemaPaese fa addirittura sfoggio di un certo ottimismo: «Noi siamo certi che non esista alcun rischio di fallimento dello Stato italiano». Del resto, anche l’Ania (come Confindustria e Abi) ha già dato il suo appoggio al governo Monti. Ma Cerchiai non teme pericoli neanche per il suo settore, che vede meglio posizionato rispetto al sistema creditizio. «Le compagnie spiega non hanno, come invece può accadere per le banche, problemi di liquidità. Per due ordini di motivi». Quali?
«Prima di tutto perché c’è, nelle assicurazioni, l’inversione del ciclo produttivo, nel senso che prima si incassano i premi dai clienti e poi si pagano le prestazioni. Inoltre perché le assicurazioni sono in grado di valutare in anticipo la durata e l’impatto dei loro impegni».
Cioè?
«Sappiamo, nel ramo vita, quando scadono le polizze e quindi quando dovremo pagare le prestazioni promesse. Mentre, nel ramo danni, le statistiche ci dicono con sufficiente attendibilità quale sarà l’impatto dei sinistri. Del resto l’andamento in Borsa del settore assicurativo è in linea con il resto del mercato».
Cosa ci dicono i numeri di Piazza Affari?
«Dal gennaio del 2011 ad oggi le assicurazioni hanno perso il 16,8 per cento. Sì, è pur sempre una discesa, ma inferiore a quella del totale mercato, calato del 18,9 per cento».
Anche molto inferiore a quella del settore bancario, scesa nello stesso periodo del 41 per cento. Dal punto di vista tecnico come stanno andando le compagnie?
«Nei rami danni è in atto un miglioramento degli indici della sinistralità. Ciò avviene perché osserviamo sia un aumento del denominatore, ossia i premi, sia una diminuzione del numeratore, ossia i sinistri. La riduzione media del rapporto sinistri a premi del totale comparto danni è del 4 per cento complessivamente, ed è dovuta per 3 punti percentuali alla crescita della raccolta e per 1 punto percentuale alla diminuzione dei sinistri».
Anche nell’Rc auto diminuisce la sinistralità?
«Sì, anche in questo ramo».
Questa è davvero una bella notizia, dottor Cerchiai. Gli italiani possono dunque attendersi ora una diminuzione dell’Rc auto, che tanto pesa sui bilanci delle famiglie?
«Lo speriamo tutti. La riduzione della sinistralità è in atto ma il combined ratio, ossia il rapporto tra la somma dei sinistri e delle spese e i premi nell’Rc auto era, per il sistema nel suo complesso, pari a 105,6% nel 2010. Come vede, il sistema era in forte perdita, per la parte tecnica, di quasi 6 punti. Né la gestione finanziaria, in questo momento, aiuta, anzi crea altri problemi. Però se il trend continua e il combined ratio continua a migliorare, potremmo vedere una stabilizzazione delle tariffe Rc auto».
Torniamo a temi più generali. Lei ha spiegato perché l’impatto sulle assicurazioni della crisi dei debiti sovrani, in particolare del nostro, è minore rispetto al sistema bancario, per il fatto che le compagnie non hanno problemi di liquidità. Però è pur vero che la continua diminuzione del valore dei titoli di Stato riduce il vostro patrimonio. Qual è l’impatto sul vostro margine di solvibilità?
«In effetti il margine di solvibilità (ossia il rapporto fra il patrimonio che si possiede e quello minimo richiesto dalla normativa) resta ampiamente in zona sicurezza, pur essendo in diminuzione. A fine 2010, per l’intero sistema e per il totale vita/danni, i mezzi propri erano pari a 46 miliardi, 2,2 volte il margine richiesto; l’eccesso era di 25 miliardi. Da allora, è vero, le cose sono peggiorate…».
E non di poco. Non è che qualche compagnia può adesso avere bisogno di un aumento di capitale?
«Non c’è nessun segnale di allarme, per ora. Allo stato attuale, per quanto mi consta, non vi sono richieste di ricapitalizzazione da parte dell’Isvap».
Sì, ma se continuano le turbolenze? Che succederebbe poi se lo Stato italiano andasse in default?
«Noi siamo assolutamente certi che lo Stato italiano resterà solvibile. Come le ho detto, il problema per noi è solo contabile. In ogni caso, a scadenza, lo Stato italiano rimborserà sicuramente i suoi titoli».
Mi faccia capire una cosa. Ma per pagare le polizze vita che via via si concludono non dovete vendere i vostri titoli di Stato magari anche prima della loro naturale scadenza e dunque incamerando al momento reali perdite in conto capitale?
«No, questo non accade perché noi abbiamo una raccolta netta positiva (ossia l’ammontare dei premi incassati è superiore alle prestazioni pagate) nel ramo vita pari a 4 miliardi nel primo semestre del 2011. Nel complesso le riserve delle polizze tradizionali sono aumentate del 4%. Problemi ci sarebbero, naturalmente, se fossimo costretti a vendere anticipatamente i titoli pubblici. In realtà se non avessimo il problema dei mercati finanziari questo sarebbe un buon anno per le compagnie. Per noi, e per tutti, confidiamo che abbia rapido successo l’azione del nuovo Governo».
Parliamo della concorrenza tra le compagnie italiane e quelle estere. Sta per entrare in vigore la nuova normativa Solvency II. Chi ne sarà più avvantaggiato?
«Intanto va detto che Solvency II entrerà in vigore fra più di un anno, nel gennaio del 2013 e per gli aspetti quantitativi all’inizio del 2014. Nell’ultimo esercizio quantitativo svolto (QIS5), le compagnie italiane si posizionavano molto meglio di altre. Nel passaggio da Solvency I a Solvency II per noi si liberava capitale. La linea logica è questa: siccome la nuova normativa va a misurare l’effettiva rischiosità degli asset, l’Italia ne esce bene perché ha rischi meno complessi di altri mercati. Ma nel 2011 i titoli di Stato italiani hanno perso valore e si è creata una fase nuova. La patologia in atto è la perdita di valore di tutti i titoli, ma soprattutto di quelli sovrani».
Quali titoli avete in portafoglio, in percentuale sul totale dei vostri asset?
«Circa l’80 sono obbligazioni, di cui il 70% sono titoli governativi. Le azioni rappresentano il 15 del totale».
In termini di valore, quanti titoli di Stato italiani hanno in pancia le assicurazioni del nostro paese?
«Oltre 160 miliardi. Come vede, una bella fetta del debito pubblico italiano».
Ma dopo l’inizio della crisi dei debiti sovrani avete ridotto questa esposizione, un po’ come stanno giocoforza facendo le banche?
«Non mi risulta: i titoli governativi erano pari a 224 miliardi ad agosto e settembre e a 225 a ottobre. Come le dicevo noi crediamo nello Stato italiano».
Perché allora, se avete tanta fiducia, non approfittate di questo momento per comprare più Btp, che oggi rendono circa il 7 per cento?
«Possiamo investire solo i soldi che gli assicurati ci affidano. Se gli italiani comprano più polizze, una quota dei fondi può certamente essere investita nei Btp. Va sempre ricordato che secondo Solvency uno dei criteri da utilizzare per scegliere gli investimenti è la loro diversificazione
».
Presidente, lei mostra grande fiducia nell’Italia e nella capacità del nuovo governo di gestire questa difficile situazione. Ma quanto può resistere il sistema assicurativo italiano se questa fase perdura?
«La capacità di resistenza delle compagnie è molto alta, come spero di averle dimostrato. Ma qui il problema è un altro».
Quale?
«In questa situazione quanto può reggere l’economia reale? Con tassi all’8 per cento quanto possono resistere le imprese? Come vede, il problema degli alti tassi è un problema per l’economia reale, prima di tutto».