Forti critiche dall’Abi e dai manager per la stretta Eba sul patrimonio. Guzzetti: norme scritte da Germania e Francia per penalizzare l’Italia. Ghizzoni (Unicredit): discussioni in corso sulla computabilità dei Cashes 

di Francesco Ninfole

«Se le banche non riuscissero a raccogliere sul mercato i capitali richiesti dall’Eba, si affaccerebbe come unica prospettiva quella di un intervento dello Stato, o direttamente o tramite fondi europei. A parte il rischio che potrebbe profilarsi a breve o medio termine, di massicci interventi da parte di gruppi stranieri».

L’allarme è stato lanciato ieri da Giovanni Bazoli. Secondo il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, l’ultima stretta degli organi europei sul capitale bancario non solo penalizza gli istituti italiani, ma costituisce anche una minaccia per il controllo delle banche: «La posta in gioco è alta». Bazoli ha commentato lo scenario alla presentazione del volume dell’Abi Le banche e l’Italia, alla quale è intervenuto il gotha della finanza del Paese. Alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, i banchieri hanno criticato, con un vigore senza precedenti, le misure decise dalle autorità europee sul patrimonio degli istituti (gli indici Core Tier 1 dovranno salire temporaneamente al 9%, dopo la svalutazione di titoli di Stato). Lo stesso Napolitano avrebbe mostrato interesse per approfondire gli effetti delle nuove norme. L’Abi non ha ancora inviato una protesta ufficiale all’Eba per le metodologie utilizzate nel calcolo dei deficit di capitale, ma starebbe valutando le modalità per farsi sentire in Europa. «Sono arrabbiato perché le decisioni dell’Eba salvaguardano gli interessi francesi e tedeschi e penalizzano gli italiani», ha aggiunto il presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti. «Per nessuna delle banche italiane è stato necessario mettere a punto un intervento pubblico di salvataggio come invece è avvenuto in altri Paesi d’Europa. Sono, però, oggi gli stessi Paesi, Francia e Germania, a scrivere quelle nuove regole che sembrano fatte apposta per penalizzare le banche italiane, le quali non hanno avuto responsabilità nei dissesti finanziari che hanno gettato il seme della crisi attuale».

Anche il ceo di Unicredit Federico Ghizzoni ha giudicato «incomprensibili» le decisioni dell’Eba: «Tornare indietro appare peraltro un esercizio tardivo, anche perché i mercati hanno di fatto già assimilato quanto è stato annunciato. Allo stesso modo non sarà senza conseguenze aver infranto i principi relativi al mark to market». Ghizzoni ha inoltre precisato che Unicredit ha «discussioni in corso» per includere gli strumenti finanziari Cashes nel calcolo del capitale: in questo modo il fabbisogno di 7,3 miliardi di euro, come individuato dall’Eba, scenderebbe a circa 4,3 miliardi.

I banchieri hanno ricordato che la stretta sul patrimonio e l’aumento del costo del funding potrebbero causare una contrazione dei prestiti: «Se si continuano a incontrare costi insostenibili della raccolta, il restringimento del credito è una strada ineluttabile», ha detto Bazoli. I mercati finanziari, ha concluso infine il presidente del cds di Intesa Sanpaolo, «hanno assoggettato le banche italiane a pressioni pesantissime, che non trovano giustificazione nei fondamentali economici, ma riflettono la valutazione negativa sull’esposizione dei portafogli bancari al debito domestico, e ancor più chiaramente rivelano il gravissimo deterioramento che si è verificato anche a causa della perdurante incertezza della situazione politica interna». Per il presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, «l’Italia saprà reagire: diversamente, i gravi scenari delineati non saranno scongiurabili». (riproduzione riservata)