WEB MARKETING

Autore: Sara Tortelli
ASSINEWS 379 – Novembre 2025

Come il digitale amplifica fiducia e reputazione senza sostituire il passaparola

Nel settore assicurativo, la fiducia continua a essere l’elemento centrale su cui si fonda ogni relazione professionale. Per anni a costruirla sono state la prossimità territoriale, l’incontro di persona e soprattutto il passaparola, strumento che rimane tuttora insostituibile.

Il digitale non rappresenta un’alternativa a questi pilastri, bensì un’estensione naturale e complementare. Se gestito con eleganza e discrezione, diventa un amplificatore della professionalità dell’intermediario, capace di perseguire due obiettivi precisi: rafforzare la comunicazione personale e intercettare quei segmenti di clientela che difficilmente si avvicinano attraverso i soli canali tradizionali.

LinkedIn: dal profilo al dial ogo LinkedIn
è oggi il corrispettivo digitale del biglietto da visita. Molti intermediari lo considerano ancora un curriculum online da aggiornare saltuariamente, ma la vera utilità della piattaforma sta nel trasformarla in uno spazio di dialogo e confronto.

Il networking non dovrebbe basarsi su un approccio di interruzione – tipico di un metodo più classico – bensì sull’attrazione e sulla conversazione. L’obiettivo non è la rincorsa spasmodica ai lead, ma la costruzione di un ecosistema di fiducia attorno al brand personale. In quest’ottica la vendita non è il punto di partenza, bensì la conseguenza naturale di una relazione nutriente e continua. Per rendere operativo questo principio, due abitudini risultano particolarmente efficaci.

La prima consiste nel diventare curatori di contenuti: selezionare notizie e analisi da fonti autorevoli, arricchendole con un breve commento che ne spieghi la rilevanza dal punto di vista dell’intermediario o del lettore. Un articolo sul futuro delle pensioni, ad esempio, può essere condiviso insieme a una riflessione mirata che stimoli la discussione.
Il secondo comportamento è l’interazione qualificata attraverso i commenti.

Un contributo puntuale a un post altrui – come chiarire una clausola assicurativa o proporre un punto di vista tecnico – può generare più autorevolezza della pubblicazione di un contenuto autonomo. Questo metodo, spesso sottovalutato, dimostra apertura all’ascolto e capacità di confronto.

Da influencer a creator: la conoscenza genera fiducia
Se fino a qualche anno fa la reputazione digitale era soprattutto questione di visibilità e capacità di mostrarsi, oggi la dinamica è differente.

La notorietà dell’“influencer”, basata sulla condivisione frammentata della vita personale, lascia progressivamente spazio a un modello meno effimero: quello del content creator, il professionista che si distingue per la produzione di contenuti percepiti come utili e informativi (oppure divertenti – perché va riconosciuta anche questa tendenza alla “leggerezza”).

La memorabilità digitale dipende sempre meno dalla frequenza delle apparizioni e sempre più dal valore espresso. Gli utenti mostrano un’attenzione crescente verso chi sa offrire spunti, interpretazioni e conoscenze riconosciute come arricchenti. In Italia questa tendenza è rafforzata dall’abbandono progressivo della lettura quotidiana dei giornali, sostituita dal consumo veloce e frammentato di informazioni tramite i social.

In questo scenario l’intermediario può ritagliarsi uno spazio rilevante diventando curatore e creatore di contenuti affidabili, capaci di filtrare e rendere comprensibili notizie complesse su temi come fiscalità, previdenza o normativa.

L’informazione regolare e accessibile diventa così un asset strategico per rafforzare il brand personale e conquistare la fiducia di pubblici esposti troppo spesso al rumore indistinto dei social.

Oltre LinkedIn: stra tegie multicanale
Molti intermediari, quando pensano al personal branding digitale, tendono a considerare LinkedIn come l’unico spazio possibile. È un’idea naturale, visto il ruolo centrale della piattaforma nelle relazioni professionali, ma rischia di diventare limitante.

LinkedIn ha punti di forza evidenti, ma presenta anche limiti: non tutti i target vi sono attivi e, soprattutto in Italia, le community sono spesso verticalizzate per ambiti professionali specifici.

Per questo è necessario ampliare lo sguardo e scegliere i canali di comunicazione partendo da due criteri: dove si trova realmente il proprio pubblico e quale registro comunicativo risulta più in sintonia con la propria personalità.

In questo modo la strategia digitale non appare artificiale, ma naturale estensione della professionalità offline.

Facebook mantiene una forte connotazione comunitaria. Nei gruppi locali, professionali o di interesse, l’intermediario può inserirsi non tanto per autopromuoversi, bensì per ascoltare conversazioni, rispondere a dubbi e rendersi disponibile con discrezione. Il contributo dato in questi contesti crea reputazione molto più rapidamente di qualsiasi messaggio pubblicitario.

Instagram, invece, è per definizione il luogo della narrazione visiva. Qui la complessità del mondo assicurativo può essere tradotta in caroselli che spiegano step by step concetti complessi, in brevi video che condensano consigli pratici o in storie che mostrano il lato più umano della professione, come un momento di formazione o una riflessione su una notizia di attualità. In questo modo la competenza si abbina a un linguaggio accessibile, creando empatia.

Anche TikTok, sebbene percepito come distante dal settore, rappresenta un terreno interessante. La sua forza risiede nella radicale semplicità e nell’immediatezza. Un video di pochi secondi che smonta un luogo comune o risponde in maniera chiara a una domanda specifica può posizionare l’intermediario come fonte credibile presso pubblici giovani, spesso poco raggiungibili con i canali tradizionali.

Il “ritorno sulla relazione”
In qualunque direzione si orienti la presenza digitale, il criterio con cui misurarne il successo non può essere solo il ROI, inteso come ritorno sull’investimento in nuovi contatti o contratti. Nel ragionamento che stiamo facendo assume rilievo soprattutto il RoR, il “Return on Relationship” ossia il ritorno sulla relazione, che di fatto è un ritorno in termini di fiducia, raccomandazioni spontanee e continuità della relazione.

È l’equivalente online del passaparola tradizionale, con la differenza che la sua eco può estendersi a cerchie molto più ampie di potenziali clienti. Questo metodo richiede costanza e attenzione, anche verso i clienti già acquisiti. Un messaggio mirato via email, una condivisione su WhatsApp di un contenuto utile o un semplice commento su un post personale mantengono viva la relazione e rafforzano la percezione di vicinanza.

Il profilo dell’intermediario si definisce oggi attraverso un modello ibrido. In questo modello, la relazione personale e il passaparola rimangono il cuore pulsante della professione, un valore insostituibile.

I canali online agiscono in parallelo come un potente amplificatore, un’estensione elegante per consolidare la propria reputazione e dialogare con pubblici altrimenti irraggiungibili. Per gli intermediari questo significa allenarsi a fare del digitale non un fine, ma un canale quotidiano di relazione e valore.


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