IL RAPPORTO SULLE PMI DI GENERALI ITALIA EVIDENZIA IL CAMBIO DI ROTTA DEGLI ULTIMI ANNI
di Gianpaolo Sbaraglia
La crisi pandemica e il “caro energia” hanno indotto le imprese a mutare le politiche di welfare adottate all’interno dell’azienda. A questo riguardo, il Rapporto welfare index Pmi 2021 di Generali Italia riporta un’indagine realizzata con più di 6000 interviste a piccole e medie imprese sul comportamento delle aziende italiane dopo la pandemia, da cui è emerso che sono aumentate le azioni di welfare, spesso abbinate ad azioni di responsabilità sociale d’impresa verso i territori di riferimento. Sempre secondo il rapporto, la reazione alla pandemia ha impresso un salto di qualità al welfare aziendale ampliando il numero delle imprese attive, arricchendo il range delle iniziative adottate e soprattutto generando una nuova consapevolezza del ruolo sociale delle imprese. Nel rapporto si legge inoltre che questo sforzo ha modificato in modo permanente il welfare aziendale: 42,7% delle imprese che hanno attuato iniziative in risposta all’emergenza intendono mantenerle anche in futuro, considerandole una componente strutturale del loro welfare. E i lavoratori ne hanno riconosciuto il valore: il gradimento è positivo o eccellente nell’88% dei casi. Una valutazione molto superiore alla media generale delle iniziative di welfare. Basti pensare al ruolo della sanità integrativa nel periodo pandemico e delle misure aziendali per contrastare il rincaro dei consumi e delle bollette, grazie ai buoni pasto, ai buoni acquisto e ai buoni benzina. Senza ombra di dubbio, l’adozione di siffatte politiche è stata favorita dalle agevolazioni fiscali e contributive connesse. In effetti, i benefit che compongono un piano di welfare hanno un trattamento fiscale di favore (art. 51 Tuir), riconoscendone il legislatore una matrice sociale e non strettamente collegata alla mansione svolta dal lavoratore all’interno dell’azienda (di qui, la natura non retributiva delle misure di welfare). Tuttavia, il nuovo ruolo del welfare all’interno delle aziende non è accompagnato da aggiornate e puntuali misure fiscali e contributive. Si pensi ad esempio alla “mobilità del lavoratore” e al ruolo dell’impresa nella diffusione di comportamenti responsabili. Durante la pandemia, le parti sociali, i datori di lavoro e i lavoratori sono stati chiamati a ripensare agli spazi in azienda e agli spostamenti, non solo nei tragitti “casa-lavoro”. Il risultato è stato un aumento dell’utilizzo della mobilità alternativa che ha comportato un alleggerimento dell’uso dei mezzi pubblici ed effetti positivi sulla riduzione delle emissioni. Come per l’esenzione per i fringe benefit, la mobilità alternativa non trova una puntuale collocazione tra le esenzioni riservate al welfare aziendale. Sul punto, è intervenuta l’Amministrazione finanziaria, chiamata ad uno sforzo interpretativo per adeguare esenzioni ormai “vetuste” e non al passo con i cambiamenti che hanno interessato ed interessano il mercato del lavoro. A questo riguardo, è utile richiamare quanto osservato sul car pooling. Il car pooling è un sistema trasporto non professionale basato sull’uso condiviso di veicoli privati tra due o più persone che devono percorrere lo stesso itinerario, o parte di esso, messe in contatto tramite servizi dedicati forniti da intermediari pubblici o privati, senza che per la prestazione di trasporto possa essere previsto alcun tipo di corrispettivo. Ora, con la Risp. 461/2019, l’Amministrazione finanziaria ha concluso che i servizi di car pooling messi a disposizione dei propri dipendenti, non concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente, in quanto benefit a valenza sociale, ai sensi dell’art. 51, comma 2, lett. f), Tuir. Per accedere a tale esenzione, tuttavia, è necessario che (i) le opere e i servizi devono essere messi a disposizione della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti; (ii) le opere e servizi devono riguardare esclusivamente erogazioni in natura e non erogazioni sostitutive in denaro; (iii) le opere e i servizi devono perseguire specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale o culto. Allo stesso modo, l’Agenzia è intervenuta anche sul “car sharing”. Il car sharing è un servizio di mobilità urbana che permette agli utenti di utilizzare un veicolo su prenotazione noleggiandolo per un periodo di tempo breve, nell’ordine di minuti od ore, e pagando in ragione dell’utilizzo effettuato. Sul punto, la Ris. 83/2016 si è espressa sulla rilevanza, nell’ambito dei redditi di lavoro dipendente, del rimborso spese per il servizio di Car Sharing utilizzato dal dipendente in occasione di trasferte nell’ambito del territorio comunale ove è ubicata la sede di lavoro. L’Amministrazione ammettendo l’irrilevanza fiscale ha osservato che il servizio di car sharing rappresenta, soprattutto nelle aree urbane, una evoluzione dei tradizionali sistemi di mobilità considerati dall’art. 51 Tuir, e conseguentemente, i rimborsi delle relative spese in favore dei dipendenti in trasferta nel territorio comunale, documentate nei modi indicati, possano essere ricondotti nella previsione esentativa di cui al comma 5 del medesimo art. 51.

Quanto alla ricarica elettrica del veicolo privato del dipendente, occorre segnalare due distinti orientamenti di prassi. Con la circ. 27/2022, in merito al bonus carburante, l’Amministrazione ha osservato che l’erogazione di buoni o titoli analoghi per la ricarica di veicoli elettrici debba rientrare nel beneficio di cui trattasi, anche al fine di non creare ingiustificate disparità di trattamento fra differenti tipologie di veicoli. Diversamente, la risp. 329/2022 ha ricondotto nell’alveo dell’art. 51, comma 2, lett. f), Tuir il servizio di ricarica gratuita dell’auto privata elettrica offerta dal datore di lavoro ai propri dipendenti, individuando una finalità educativa sottesa al servizio medesimo. Secondo l’Amministrazione finanziaria «l’articolo 51, comma 2, lett. f), Tuir possa applicarsi anche nella ipotesi in cui il datore di lavoro, allo scopo di promuovere un utilizzo consapevole delle risorse ed atteggiamenti responsabili dei dipendenti verso l’ambiente, attraverso il ricorso alla mobilità elettrica, offra ai propri dipendenti il servizio di ricarica dell’auto elettrica. In tale contesto, infatti, può individuarsi una finalità di educazione ambientale perseguita dall’azienda. In proposito, tra l’altro, si rileva che l’obiettivo di dare impulso a una compiuta transizione ecologica anche attraverso una mobilità sostenibile costituisca uno specifico obiettivo del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)». Gli orientamenti di prassi dimostrano l’impossibilità di ricondurre misure di welfare legate alla mobilità alternativa o sostenibile ad una specifica esenzione fiscale e contributiva. Sarebbe opportuno che il legislatore intervenga per favorire l’ottimizzazione e il miglioramento della mobilità grazie alle politiche di welfare aziendale.

*avvocato, studio legale e-Ius Tax&Legal
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