di Andrea Deugeni e Anna Messia
La ricerca continua senza sosta, con Generali che vuole crescere rapidamente nel settore dell’asset management e si guarda intorno, specie negli Stati Uniti e nel Regno Unito, per individuare società da comprare che possano essere utili ad accelerare lo sviluppo in questo settore. Per ora però l’unico dato di fatto è che l’opzione Guggenheim, che sembrava in fase avanzata di valutazione, con una due diligence imminente in agenda, sembra essersi raffreddata.

Una decisione definitiva non sarebbe ancora stata presa, ma l’interesse iniziale all’interno del consiglio della compagnia, secondo quanto risulta a Milano Finanza, si è affievolito anche a causa dei dubbi dei consiglieri di minoranza sulla diversa cultura aziendale della società americana. Perché se è vero che, come sottolineato dagli analisti, Guggenheim, con 228 miliardi di dollari di asset in gestione e un consolidato track record nei servizi di gestione patrimoniale per compagnie assicurative, fondi pensione, fondazioni e private banking, rafforzerebbe in maniera significativa il posizionamento di Generali nell’asset management, c’è chi fa notare il fatto che la società americana, guidata da patron del Chelsea Mark Walter, ha un approccio e uno stile di business competentemente differente da quello del gruppo assicurativo guidato da Philippe Donnet. Difficilmente le due realtà riuscirebbero quindi a integrarsi. In più, Guggenheim è una società composta da manager-azionisti da liquidare, inglobare e trattenere in una compagnia straniera per il mercato americano dove tradizionalmente gli operatori europei non hanno avuto grandi fortune.

Non solo. Le modalità di finanziamento del deal, che dovrebbero passare dalla vendita del 50,17% di Banca Generali nel portafoglio del Leone, non sarebbero di facile percorribilità. Guggenheim viene valutata fra i 3 e 4 miliardi di dollari e l’ultimo piano strategico di Donnet ha riservato al massimo 3 miliardi di euro da destinare al m&a. Il blitz sull’asset manager newyorkese richiederebbe quindi la valorizzazione della controllata guidata da Gian Maria Mossa. Peccato che nel frattempo, anche grazie alle scommesse speculative a Piazza Affari su operazioni lungo l’asse Generali-Mediobanca, il titolo del gruppo attivo nel wealth management sia stato protagonista di un autentico rally nell’ultimo mese: quasi +25%, superando i 31 euro per una capitalizzazione di mercato di oltre 3,6 miliardi. Con i venti di recessione che tirano sui mercati piazzare una quota che ai prezzi odierni vale più di 1,8 miliardi non è certo semplice.

Sempre secondo quanto risulta a Milano Finanza, in Generali hanno comunque pronto un piano B. Strategia che passa dall’asset manager (sempre americano, ma di più piccola taglia) Brightsphere (91 miliardi di dollari in gestione e quotato al Nyse) ma anche da altri dossier allo studio sempre con portafoglio anglosassone. Per un semplice motivo: nel Vecchio Continente non ci sono molti bocconi aggredibili: sfumata nel 2016 l’operazione Pioneer, che pure Donnet da pochi mesi alla guida del Leone aveva visionato, restano Amundi (il colosso francese controllato dall’Agricole), Natixis IM (dove lo scorso anno è approdato Tim Ryan, l’ideatore della piattaforma multi-boutique del Leone) e infine Dws, la divisione asset management di Deutsche Bank di cui in passato la prima banca tedesca ha valutato anche il merger e la vendita, senza però arrivare a definire un’operazione. Ed è proprio Dws, a quanto risulta, il dossier da anni nel mirino delle Generali: se l’asset manager tedesco venisse messo sul mercato, il Leone sarebbe infatti fra i potenziali compratori. La taglia di Dws è large: 833 miliardi di euro di attivi in gestione. In teoria Donnet potrebbe disegnare anche una fusione senza bisogno di toccare la cassa. (riproduzione riservata)
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