Dario Ferrara
L’Inail deve indennizzare anche il lavoratore affetto da sindrome depressiva. Pesa l’articolo 10, comma quarto, del decreto legislativo 38/2000, secondo cui sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle normative, a patto che il lavoratore dimostri il nesso causale con l’attività svolta.

È quanto emerge dall’ordinanza 29611/22, pubblicata l’11 ottobre dalla sezione lavoro della Cassazione. Il ricorso proposto dalla lavoratrice è accolto dopo una doppia sconfitta in sede di merito. Sbagliano il Tribunale prima e la Corte d’appello poi a negare l’indennizzo Inail per il danno biologico: la donna accusa un disturbo dell’adattamento con umore depresso, dovuto alla situazione lavorativa «avversativa», così come accertato dai medici. E non si può escludere la copertura assicurativa per la lesione psichica patita dal lavoratore in condizioni di «costrittività organizzativa» soltanto perché il Consiglio di Stato ha annullato una circolare Inail del 2003 e il dm 134/04. Risulta infatti incongrua la distinzione fra malattia fisica e psichica quando la patologia ha origine nel rapporto con il datore: il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, esponendola a rischi rilevanti in entrambe le sfere. Il fondamento della tutela assicurativa, osservano d’altronde gli “ermellini”, non sta tanto nella nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio ma nella protezione del bisogno a favore del lavoratore, considerato in quanto persona; così come l’articolo 38 della Costituzione tutela l’infortunio in sé e non l’eventualità che il sinistro si verifichi: è il primo e non la seconda l’evento che genera il bisogno protetto dalla Carta fondamentale. Non convince l’interpretazione secondo cui i premi assicurativi Inail servirebbero proprio a limitare la tutela ai rischi individuati dalle tabelle: i versamenti a carico delle imprese hanno la sola funzione di finanziare il sistema previdenziale. E il superamento della visione statistico-assicurativa di rischio è avvenuto grazie alla Cassazione e alla Consulta per garantire la massima tutela fisica e sanitaria dei lavoratori. La parola passa al giudice del rinvio.
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