IERI CDA FIUME. BRACCIO DI FERRO BANCHE-MEF SULLA GARANZIA ALL’AUMENTO DA 2,5 MLD
di Luca Gualtieri e Fabrizio Massaro
Fumata grigia sull’aumento di capitale di Mps. Nonostante le trattative febbrili e la forte determinazione del Tesoro, primo socio al 64%, la banca senese non ha ancora raggiunto un accordo sulla garanzia per l’inoptato con il consorzio capitanato da Mediobanca, Credit Suisse, Bofa e Citi. Così il board di Rocca Salimbeni, che ieri avrebbe dovuto deliberare sulla tempistica e il prezzo dell’operazione da 2,5 miliardi, è rimasto aperto e si aggiornerà con ogni probabilità nella mattina di mercoledì 12.

Il nodo da sciogliere è ancora quello degli impegni di sottoscrizione. Se negli incontri di venerdì 7 e di lunedì 10 il ceo Luigi Lovaglio ha garantito al consorzio un livello di adesioni vicino ai 500 milioni, le banche pre-garanti chiedono che dagli investitori arrivino lettere vincolanti, per scongiurare il rischio di un elevato livello di inoptato. Raccogliere la documentazione, dopo aver convinto i partecipanti, è impresa complessa che tuttavia – garantivano nella serata di ieri diverse fonti – non dovrebbe pregiudicare la tempistica dell’aumento. La tabella di marcia è per ora confermata: partenza lunedì 17 (dopo un rapido ok Consob al prospetto) e chiusura il 12 novembre. Ma il timing è ormai appeso al filo e non è detto che tutta l’operazione non slitti di qualche giorno.

La cauta fiducia deriva dalla disponibilità mostrata da diversi investitori italiani ed esteri. In prima fila c’è Axa, partner di Siena nella bancassurance dal 2007, che potrebbe sottoscrivere azioni fino a 150 milioni. Contatti in fase avanzata sono in corso anche una vasta platea di fondi, dalla Algebris di Davide Serra che potrebbe iniettare 50 milioni ad asset manager internazionali come Hosking Partners sino a imprenditori vicini a Lovaglio come Denis Dumont, ex azionista di riferimento del Credito Valtellinese (di cui il banchiere è stato ceo). Alcuni dei soggetti coinvolti nelle trattative, come Pimco e BlueBay Asset Management, hanno inoltre una significativa esposizione nei bond subordinati del Montepaschi e potrebbero quindi trovare conveniente investire nell’aumento, sia pure con la prospettiva di un calo delle valutazioni nei primi giorni di mercato, per evitare perdite maggiori in uno scenario di burden sharing.

Un altro fronte da cui sono arrivate risposte positive è quello delle fondazioni bancarie. Secondo indiscrezioni, Il Monte potrebbe contare su sottoscrizioni per circa 30 milioni da parte di diversi enti toscani. I cda di CariFirenze e della Fondazione Mps si sarebbero già espressi a favore e si attende un’analoga decisione anche da CariLucca mentre in forse sarebbe la Cr Pistoia e Pescia.

Più complesse sono invece le discussioni con Anima. Sin dalla primavera scorsa la sgr milanese partner di Siena nel risparmio gestito aveva dato la propria disponibilità a sottoscrivere una tranche significativa nell’aumento. Nelle ultime settimane però la pista si è raffreddata non solo per alcune divergenze di carattere industriale tra Lovaglio e il vertice di Anima, ma anche per l’azione di disturbo intrapresa dal fondo attivista Bluebell di Giuseppe Bivona (grande accusatore degli ex vertici senesi, però assolti in appello a Milano) che in un esposto alla Consob ha messo nel mirino il possibile conflitto di interessi della sgr. Ma a determinate condizioni Anima potrebbe ancora dare un contributo significativo al rafforzamento patrimoniale, versando nelle casse di Mps fino a 200 milioni. Il braccio di ferro insomma è continuo e su più fronti, fino all’ultimo minuto in un’operazione che appare a tutti molto delicata.

Ulteriori adesioni da parte di investitori istituzionali di varia estrazione potrebbero arrivare tra oggi e domani. La banca ha del resto diverse carte da giocare con i potenziali sottoscrittori. In primo luogo ci sono gli obiettivi del piano industriale che prevede non solo una discesa del rapporto cost/income al 57% ma anche a 833 milioni nel 2026. In questo scenario l’aumento dei tassi -non calcolato nel piano industriale- ridarà slancio al margine di interesse. Sul fronte dei costi un risultato importante è già stato portato a casa: al piano di 3.500 esodi volontari hanno aderito oltre 4.100 dipendenti, anche grazie alle condizioni favorevoli che prevedono da un lato un assegno straordinario da sette anni e dall’altro una remunerazione fino all’85% della busta paga.

Scenari alternativi non sono comunque esclusi. Un piano B valutato all’interno del consorzio vedeva un’operazione più ridotta (circa due miliardi) e l’ipotesi di colmare il gap con cessioni di asset, a partire dalla banca depositaria. (riproduzione riservata)
Fonte: logo_mf