di Daniel Lunetta
In coerenza con gli impegni assunti con la sottoscrizione dell’Accordo di Parigi sul clima del 2016, la Commissione europea ha proposto nel marzo 2018 l’Action plan on financing sustainable growth che traccia le tappe fondamentali per promuovere l’integrazione dei fattori ambientali, sociali e di governance nei mercati finanziari. In attuazione di quel piano, il legislatore europeo ha approvato il Regolamento 2019/2088 relativo all’informativa sulla sostenibilità nei servizi finanziari (Sfrd) e il Regolamento 2020/852 sulla tassonomia degli investimenti sostenibili e la Commissione europea ha emanato atti delegati destinati a declinare quelle regole nei settori dei servizi di investimento, della gestione collettiva del risparmio e della distribuzione assicurativa.

La strategia regolatoria perseguita è chiara: promuovere con una disciplina specifica il ruolo dell’industria finanziaria, che è già nei fatti il principale motore della transizione verso un modello di crescita sostenibile. Ciò è dimostrato, ad esempio, dai ritmi di crescita del risparmio gestito «sostenibile». Il Global sustainable investment review 2020 pubblicato dalla Global sustainable investment alliance, che mappa lo stato degli investimenti sostenibili a livello globale, evidenzia una crescita in questo settore, tra il 2016 e il 2020, del 55%, pari a 35,5 trilioni di dollari. In Italia, la Mappa trimestrale di Assogestioni registrava a fine 2021 uno stock di risparmio gestito di 2.594 miliardi di euro, di cui 432 miliardi di fondi «sostenibili». La penetrazione della sostenibilità nei mercati finanziari e l’articolata serie di obblighi di disclousure (entity level e product level) derivanti dallo Sfdr, nonché quelli di reporting previsti dal Regolamento delegato dell’Unione Europea 2022/1288, hanno posto però gli intermediari finanziari dinanzi ad una complessa sfida: integrare il tema della sostenibilità nella governance, nei processi decisionali e di risk management. In questo contesto si collocano gli atti delegati della Commissione, che, con l’intento di assicurare coerenza sistematica in questa materia, hanno modificato le previgenti disposizioni attuative in materia di governance, organizzazione e controlli interni nei settori del risparmio gestito, anche assicurativo, e dei servizi di investimento.

Per gli asset manager la sfida Esg comporta, inter alia, la necessità di integrare i fattori e i rischi di sostenibilità nella strategia di investimento e nella due diligence sugli stessi. Per altro verso, le modifiche introdotte al quadro normativo in ambito Mifid II richiedono alle imprese di investimento di integrare i fattori e i rischi Esg nel servizio di consulenza e di gestione di portafogli, dovendo, in particolare, intercettare le «preferenze di sostenibilità» della clientela, di cui tener conto, inter alia, nel processo di valutazione di adeguatezza dei prodotti raccomandati.

La sfida dell’integrazione della sostenibilità comporta tuttavia per gli intermediari il dover raccogliere, analizzare e valutare una mole di dati e di informazioni non strettamente attinenti alla sfera finanziaria (anzi, spesso molto lontani da essa). Ma è proprio in questo ambito che si riscontrano i maggiori ostacoli: la mancanza di tassonomie, metriche e metodologie condivise a livello globale sulla rappresentazione e misurazione dei fattori di sostenibilità da parte dalle agenzie di rating e dagli info provider. Vi è poi una mancanza di uniformità nella rappresentazione delle informazioni non finanziarie nelle informative societarie. Tutto ciò rende alquanto complicato convogliare le risorse sui progetti.

Un importante passo avanti si sta compiendo con la proposta di direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità delle imprese (Corporate sustainability reporting directive) della Commissione europea dell’aprile 2021, volta a superare l’attuale disciplina della Direttiva 2014/95/Ue (Nfrd). Si tratta di un significativo sforzo per superare la frammentazione che si riscontra in questa materia, che permetterebbe un flusso informativo coerente e completo agli stakeholder e tra questi, agli analisti degli intermediari e delle agenzie di rating che potranno strutturare processi decisionali e di scelta maggiormente omogenei. (riproduzione riservata)

*studio legale Annunziata & Conso
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