Marco Capponi
Tra il superamento di Quota 100, la nuova Quota 102 e il prossimo ritorno alla legge Fornero architettati nella manovra varata dal governo Draghi, la pensione pubblica appare come un rebus sempre più complesso da risolvere per milioni di italiani. Sia per quelli ormai prossimi al ritiro dal lavoro sia (e soprattutto) per i lavoratori più giovani, che stanno facendo esperienza con il primo impiego solo ora e che guardano alla previdenza statale come a un miraggio lontano. E se questa attesa rischia di trasformarsi nella più indecifrabile delle incognite la soluzione ottimale per scommettere sul proprio futuro post-lavorativo senza rinunciare al benessere e allo stile di vita accumulati durante la carriera è quella di investire i risparmi nel proprio futuro. In un certo senso costruire la propria Quota fai-da-te, scegliendo prodotti e strategie che generino rendimenti significativi nel medio-lungo periodo.

Un approccio classico alla costruzione del portafoglio per la pensione si basa sull’orizzonte temporale lavorativo. Calcolando il tempo che manca al pensionamento si stabilisce l’asset allocation ideale, combinando la percentuale, per esempio, di azioni e obbligazioni in portafoglio. Rientrano in questa tipologia i fondi life-cycle, in cui la quota delle due principali asset class viene automaticamente adattata al rischio man mano che si avvicina la data dell’uscita dal lavoro.

Si prenda ad esempio un lavoratore che prevede di andare in pensione nel 2050 e che ha sottoscritto un fondo life-cycle nel 2020. All’avvio dell’investimento la strategia è più aggressiva: 80% azioni e 20% bond. Nel 2035, a metà del percorso, l’equity si ridurrà al 60% e il reddito fisso aumenterà al 40%, mentre al traguardo del 2050 l’azionario sarà sceso al 40% e l’obbligazionario salito al 60%.

Questa filosofia di investimento rischia tuttavia di scontrarsi con un trend secolare: l’invecchiamento della popolazione. Stando ai dati Istat del 2019 (il 2020 non è stato considerato per via dell’impatto della pandemia sulla mortalità delle classi di età più anziane), l’aspettativa di vita degli italiani si aggira sugli 85 anni per le donne e sugli 81 per gli uomini. Ciò significa che andando in pensione con Quota 102 si può prevedere di avere ancora da vivere tra i 17 e i 21 anni. Col ritorno della legge Fornero, tra i 14 e i 18. Un lungo periodo di tempo per godersi la vecchiaia senza rinunciare al benessere. Anche un investitore cui mancano solo cinque anni alla pensione, commentano dalla società di gestione indipendente Fisher Investments, potrebbe avere ancora 20-30 anni di vita da finanziare. L’approccio dell’asset manager americano rovescia la prospettiva classica, correlando l’asset allocation del portafoglio proprio all’aspettativa di vita. Come farlo? Nei grafici in pagina vengono messe a confronto quattro tipologie di allocazione azionario-obbligazionario e due orizzonti temporali, a 5 e 30 anni. Nel breve periodo un portafoglio al 100% azionario rende in media il 9,8% annuo, ma con una volatilità elevata nell’ordine del 9,4%. Di contro, un’allocazione 100% reddito fisso performa al 7,7% con volatilità al 6%: un’opzione più sicura. Ma la vita media dei pensionati si allunga e gli investimenti devono tenerne conto. Su un orizzonte di 30 anni un 100% equity rende il 10,4% con volatilità all’1,6%, mentre un 100% bond l’8,3% con volatilità all’1,3%. L’azionario offre quindi molto di più con rischio pressoché identico.

Morale della storia: all’aumentare dell’aspettativa di vita, evidenziano da Fisher Investments, si sconsiglia di tagliare prematuramente l’esposizione all’equity, perché periodi lunghi di investimento richiedono rendimenti di tipo azionario, che rimangano anche al passo con l’inflazione. Tenendo conto che ogni persona ha esigenze e obiettivi specifici, in linea generale la società di gestione ritiene un grave errore abbassare la quota azionaria prima di ritirarsi dal mercato del lavoro. Il pericolo è che, non tenendo in considerazione il giusto orizzonte temporale, si possano verificare risultati negativi nel lungo periodo e non si ottengano rendimenti sufficienti per migliorare in maniera sensibile la propria situazione finanziaria.

A partire dalla serie di dati storici del 1969 le azioni mondiali hanno reso in media l’8,6% annuo contro il 5,2% del Treasury Usa e il 7,4% dei titoli di Stato italiani in lira ed euro. Il Btp potrebbe costituire quindi un buon contraltare ai rischi della borsa, anche se Fisher Investments dubita che questi ritorni relativamente elevati possano essere confermati d’ora in avanti. Le obbligazioni italiane hanno vissuto il loro boom tra gli anni ‘80 e ‘90 per poi subire una contrazione che ha portato i tassi dal 22% a meno dell’1%. Un movimento in direzione contraria a oggi appare, vista anche la politica monetaria Bce, pressoché impossibile, evidenzia la società di gestione. Con tassi così bassi non ci si può aspettare che si ripeta nulla di simile ai rendimenti obbligazionari italiani di un trentennio fa. Un invito a costruire la pensione accantonando del tutto il reddito fisso? Non proprio. Quella di Fisher Investments non è infatti una chiamata a disfarsi del debito: il suo beneficio al portafoglio deve essere quello di ammortizzare la volatilità senza aspettarsi però che generi un ritorno. (riproduzione riservata)

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