di Luca Gualtieri
Negli assetti di controllo della Galassia del Nord è in atto un profondo rimescolamento. Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone stanno progressivamente arrotondando le proprie partecipazioni e oggi hanno in meno rispettivamente il 18,9% e il 3% di Mediobanca e il 5,4% e il 6,5% delle Generali, quote in grado di condizionare i futuri equilibri di governance nonché le strategie delle due società. La maggioranza relativa delle azioni però è ancora custodita dagli investitori istituzionali che hanno in mano il 39,9% del Leone e il 45% di piazzetta Cuccia. Una presenza silenziosa se è vero che, come loro costume, i grandi fondi interferiscono di rado nell’attività delle partecipate. Ma anche una presenza che nei prossimi mesi potrebbe rivelarsi decisiva nel decidere l’esito della battaglia che contrappone i soci storici. I nomi in campo sono quelli con cui da tempo ormai il mercato italianiano ha famigliarizzato, dai grandi asset manager come BlackRock, Dimensional e Vanguard fino ai fondi sovrani come Norges Bank senza dimenticare grandi istituzioni finanziarie europee come Ubs, Crédit Agricole o Deutsche Bank da sempre attente alle blue chip del mercato tricolore. Lo zoccolo si è consolidato negli ultimi anni visto che il peso e la diversificazione geografica degli istituzionali si sono notevolmente accentuati, come dimostra nello specifico il caso di Mediobanca. In Piazzetta Cuccia oggi solo il 14% dei fondi è italiano, mentre il resto proviene soprattutto dagli Stati Uniti (41%), dal Regno Unito (18%) e dal resto d’Europa. Del resto, prima degli eventi degli ultimi anni, la società guidata da Alberto Nagel si era progressivamente orientata verso un modello di public company come gran parte delle istituzioni finanziarie europee.

Il maggior peso specifico rispetto al passato non è tuttavia l’unica novità. Da silent investors i fondi stanno diventando soggetti sempre attivi della vita societaria delle grandi quotate. Lo dimostrano le cronache assembleari in cui i sorpassi o i contrasti tra azionisti e board sono sempre più frequenti. Un pungolo che ha spinto le società a potenziare le strategie di engagement con la consulenza dei proxy advisor. Oggi insomma pensare di costruire una corporate governance senza il coinvolgimento degli istituzionali sarebbe del tutto anacronistico.

Fatte queste premesse quanto sta accadendo nella Galassia del Nord offre più di uno spunto di riflessione. Da un lato non si può dire che i risultati finanziari portati in questi anni da Mediobanca e Generali siano dispiaciuti a BlackRock&C. «Le due società sono ben gestite e le politiche di engagement sono state sinora condotte in modo rispettoso verso il mercato», spiega a MF-Milano Finanza il gestore di un importante asset manager internazionale. Il ritorno al dividendo dopo l’anno del Covid e l’apprezzamento dei titoli in questi ultimi mesi sono stati poi ulteriori elementi di soddisfazione. Resta però una perplessità di fondo sullo scontro che si è aperto nella governance dei due intermediari. Non sempre le logiche della finanza italiana sono facilmente intellegibili per i grandi fondi della City o di Wall Street, che anzi tendono a vedervi un residuo di tempi passati oltre che un pericoloso elemento di instabilità.

Il primo banco di prova sarà rappresentato dall’assemblea di Mediobanca che il prossimo 28 ottobre sarà chiamata ad approvare non solo il bilancio ma soprattutto un corposo e inaspettato pacchetto di modifiche statutarie. Del Vecchio ha chiesto di eliminare la clausola sugli amministratori dirigenti, incassando l’approvazione del board, e di aumentare il numero dei rappresentanti delle minoranze. Questa seconda richiesta non è andata a genio a Piazzetta Cuccia che ha approvato una controproposta circoscrivendo a tre i rappresentanti delle minoranze e assicurando almeno un posto agli investitori istituzionali, novità quest’ultima per una quotata italiana. Questa modifica dello statuto sarà messa al voto se quella di Delfin non verrà approvata. Come si esprimerà Del Vecchio con il suo 19% è facilmente prevedibile. Più difficile per ora è decifrare come si muoveranno i fondi, il cui voto in assemblea sarà ancora una volta decisivo. (riproduzione riservata)

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