Le società di capitale italiane con ricavi superiori a 500 mila euro, contrariamente a quanto molti ritengono, sono poco più di 350mila. Includendo anche le micro imprese, quelle con ricavi di poche centinaia di euro, le anagrafiche non superano il milione. Complessivamente, il totale ricavi generato è di circa 2.700 miliardi, l’ebitda supera l’8%, l’utile il 2,5%. L’indebitamento bancario complessivo al netto della liquidità sostenibile (la posizione finanziaria netta o pfn) è di circa 400 miliardi. Il rapporto pfn/ebitda pari a 1,8 volte. È la foto scattata da Leanus, ottenuta aggregando e analizzando 199.349 bilanci 2020 disponibili a metà ottobre. Uno spaccato che conferma la solidità del sistema imprenditoriale italiano. L’immagine è ancor più sorprendente se si considera che i bilanci misurano i risultati 2020, anno della grande crisi generata dall’emergenza Covid, che – come è noto – ha costretto a lunghi periodi di chiusura e d’inattività forzate. Il sistema imprese Italia non è rimasto a guardare: ha immediatamente reagito, si è organizzato, ha beneficiato di nuove opportunità che ogni momento di discontinuità offre oppure ne ha addirittura approfittato per riorganizzare le attività e anticipare investimenti difficili da realizzare in condizioni ordinarie. L’analisi del sistema Italia non può tuttavia limitarsi a dati aggregati, che in quanto tali trascurano le importanti differenze tra i vari attori. La crisi ha colpito duramente tanti settori: molte imprese hanno registrato cali di volumi di affari mai registrati nel passato recente con effetti emersi ancora in parte e che sono probabilmente destinati a protrarsi per lungo tempo. Nel complesso però il sistema ha reagito e i numeri complessivi lo testimoniano. Siamo tutti giustamente preoccupati di supportare le attività più indebolite, di creare modalità di sostegno incrementali rispetto agli interventi messi in campo durante la pandemia. Rimane però da riflettere su quali siano gli interventi e a favore di quali realtà che possano effettivamente fare da traino per una ripresa sostenibile e di lungo periodo, per l’intero sistema.

È vero che l’Italia è un paese di piccole e medie imprese (almeno dal punto di vista numerico) senza le quali il sistema produttivo non potrebbe funzionare. Un’analisi più approfondita mostra però un angolo di visuale che dovrebbe essere alla base delle scelte di politica economica e degli interventi degli amministratori, fino a ora forse troppo concentrati sulle singole foglie trascurando la salute dei rami dell’intero sistema. Il sistema Italia, infatti, dal punto di vista della capacità produttiva, della creazione di valore e di pil, dell’occupazione e di ogni altro aggregato rilevante è trainato solo da 6.000 imprese non finanziarie (3,17% del totale analizzato) che complessivamente generano il 70% dei ricavi, il 77% dell’ebitda e assorbono l’80% dei finanziamenti bancari e della liquidità. Per chiarire meglio il peso di tali imprese sul sistema paese, basti pensare che in media i ricavi di una grande imprese sono pari a 70 volte quelli di una pmi. Una grande imprese riceve dal sistema bancario finanziamenti pari a 160 volte quelli di una pmi. Una crescita del 1% delle 6.000 imprese corrisponde all’intero fatturato di oltre 4.600 pmi.

Un ulteriore esempio è fornito dalla recente operazione di finanziamento a favore di Lavazza, che ha incassato un maxi prestito da 500 milioni: un’unica operazione che da sola rappresenta un quarto della totalità dell’erogato da parte del fintech italiano. Seimila imprese che rappresentano il sistema propulsore del paese da cui dipendono le sorti delle pmi, delle micro-imprese e anche delle piccole attività economiche. Una grande impresa che cresce genera occupazione, valore per l’indotto, per la filiera, per l’intero tessuto sociale. La fotografia che emerge dall’analisi non può che condurre alla necessità di una politica di sistema che ponga le grandi imprese al centro: affermazione quasi anacronistica considerando, ad esempio, le recenti vicissitudini relative ad Alitalia che costringono uno dei paesi più importanti al mondo a un ruolo di secondo piano nel trasporto aereo. Sostenere le grandi imprese vuol dire conquistare mercati, andare oltre i confini nazionali, consolidare posizioni, sviluppare nuove tecnologie, rendere ancora più solido il Made in Italy, eliminare la burocrazia, far conoscere il Paese. Tutti interventi che non possono avere come unica leva le misure d’accesso al credito o piccoli interventi in favore dei consumatori che solo marginalmente possono rilanciare la spesa delle famiglie. I numeri spingono a favore d’un cambio di approccio o magari semplicemente di un maggior spazio per chi ha già dimostrato di sapere fare impresa e di produrre ricchezza per se e per il sistema. Se, anche grazie ai fondi europei, questo accadrà, allora inevitabilmente anche le pmi ne beneficeranno in maniera significativa o addirittura, per alcune, sarà possibile fare il salto dimensionale a ora ambito solo tramite operazioni finanziarie che solo raramente hanno effettivamente prodotto il risultato sperato. (riproduzione riservata)

*ceo Leanus
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