DAL MINISTERO DEL LAVORO IL VALORE PER RIVALUTARE I MONTANTI CONTRIBUTIVI DAL 1° GENNAIO 2022
di Leonardo Comegna
Niente rivalutazione del montante contributivo per chi andrà in pensione l’anno prossimo. Lo si legge in una nota del ministero del lavoro dell’11 ottobre, in cui si comunica il valore da utilizzare per rivalutare i montanti contributivi delle pensioni che avranno decorrenza a partire dal 1° gennaio 2022. Il tasso medio annuo composto di variazione del prodotto interno lordo nominale (Pil), nei cinque anni precedenti il 2021, è risultato pari a -0,000215. Pertanto, il coefficiente di rivalutazione risulta pari a 0,999785 (arrotondato a 1). Ma, siccome la vigente normativa (art. 5, legge n. 109/2015), stabilisce che il tasso non possa essere negativo, verrà utilizzato un valore neutro, pari ad uno, e la mancata svalutazione (pari a -0,000215) sarà recuperata sulla prima rivalutazione positiva utile. Per la cosiddetta clausola di salvaguardia. Per farla breve, si tratta del primo effetto della pandemia che ha ridotto drasticamente il prodotto interno lordo nell’anno 2020. In sostanza, i lavoratori che andranno in pensione dal 1° gennaio 2022 non subiranno alcuna svalutazione del montante contributivo accreditato al 31 dicembre 2020.

Di cosa parliamo. La scarsa crescita del Pil, complice anche l’emergenza sanitaria, si ripercuote sulla rivalutazione dei contributi versati all’Inps, che serviranno un domani a calcolare la pensione. La questione interessa da vicino i giovani. Ossia coloro che hanno cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 e che rientrano appieno nel criterio di calcolo della pensione cosiddetto «contributivo». La crisi del Pil legata all’emergenza sanitaria da Covid-19 non produce, alcun effetto sulle pensioni che avranno decorrenza nel 2022. Il tasso di capitalizzazione, come visto, viene calcolato sulla media della variazione del Pil registrata nei cinque anni antecedenti il 2020. Per cui non è necessario affrettarsi a lasciare il lavoro entro fine anno, come a volte si è portati a pensare. In futuro è lecito comunque aspettarsi un ulteriore intervento legislativo in grado di compensare gli effetti della contrazione del Pil nel 2021 come già avvenuto in occasione della crisi del 2008-2012 (la richiamata legge n. 105/2015).

Il montante. In base alla riforma Dini del 1995, il montante contributivo, il famoso tesoretto che viene annualmente accantonato dai lavoratori con il versamento dei contributi previdenziali) viene annualmente rivalutato in base all’andamento della crescita nominale del prodotto interno lordo degli ultimi 5 anni, il cosiddetto tasso di rivalutazione. Il tasso di rivalutazione si applica alla parte contributiva di tutte le pensioni pagate dalla previdenza pubblica obbligatoria. Quindi è importante per chi ha iniziato a versare i contributi dal 1996, dal momento che la sua pensione sarà calcolata interamente con il metodo contributivo. Un impatto negativo inferiore avrà per chi aveva meno di 18 anni di contributi nel 1995. In quanto soggetto al sistema misto (retributivo-contributivo), Ed ancor meno significativo per chi aveva più di 18 anni di contributi nel 1995, dato che il metodo contributivo si applica solo ai versamenti effettuati dal 2012 in poi. L’ammontare dei contributi che ogni anno si traduce in pensione è determinato dall’aliquota di computo, che risulta pari al 33% della retribuzione percepita per i lavoratori dipendenti ed al 24% per gli autonomi.

Il tasso negativo. Nel 2014, per la prima volta, il tasso è risultato negativo a causa della depressione degli anni precedenti. Il legislatore, come detto, ha introdotto un correttivo secondo cui il «coefficiente di rivalutazione del montante contributivo come determinato adottando il tasso annuo di capitalizzazione non può essere inferiore a uno, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive». In tale occasione, peraltro, i pensionati sono stati graziati dal recupero perché il comma 1-bis della disposizione appena richiamata stabilì che «In sede di prima applicazione non si fa luogo al recupero sulle rivalutazioni successive». A distanza di sette anni il suddetto meccanismo di salvaguardia scatterà nuovamente e pertanto si applicherà un tasso neutro, pari ad uno, per non svalutare il montante acquisito. Salvo ulteriori correttivi legislativi, alla prossima variazione positiva utile si dovrà recuperare la mancata svalutazione. Per cui, il prossimo coefficiente positivo sarà decurtato nella misura pari a 0,000215.

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