Luca Gualtieri
Mancano sei mesi all’assemblea che nella primavera del 2022 sarà chiamata a eleggere il nuovo vertice delle Generali. Se la scadenza può apparire ancora lontana, le grandi manovre attorno ai futuri assetti della compagnia sono iniziate da tempo e arriveranno a un primo banco di prova giovedì 28 ottobre. Quel giorno l’assemblea di Mediobanca dovrà votare non solo sul bilancio, ma soprattutto sulle modifiche alla governance elaborate dal consiglio di amministrazione. Alla fine di settembre infatti Leonardo Del Vecchio, ben consigliato dall’avvocato Sergio Erede, ha proposto di eliminare il requisito statutario secondo cui tre amministratori devono essere dirigenti di Mediobanca da almeno tre anni e di alzare il numero dei consiglieri di minoranza, con la previsione che più liste possano concorrere alla nomina di tali figure. Le richieste sono state esaminate dal board di piazzetta Cuccia che ha risposto con una controproposta: l’eliminazione del vincolo sui tre dirigenti e l’aumento della rappresentanza destinata alle minoranze (fino a un massimo di tre consiglieri) con un posto riservato ai rappresentanti degli istituzionali. Dopo la mossa del cda, Delfin ha ritirato le proprie richieste «al fine di semplificare il processo assembleare evitando la possibile confusione che potrebbe essere creata dalla presenza di due proposte parzialmente divergenti». La manovra di disturbo è insomma riuscita soltanto a metà e non ha fatto breccia tra i proxy advisor che si sono schierati a favore del cda. Iss, Frontis e Glass Lewis si sono infatti espressi con una serie di pareri favorevoli, suggerendo agli investitori istituzionali di votare a favore dei punti all’ordine del giorno. Per Glass Lewis per esempio «il cambiamento proposto garantirà agli azionisti e al consiglio» di Mediobanca «una maggiore flessibilità e una base più ampia nel considerare e selezionare i candidati per il board.

Il parere dei proxy è rilevante alla luce del fatto che gli investitori istituzionali sono ancora gli azionisti di maggioranza relativa di piazzetta Cuccia (in cui anche l’accordo di consultazione potrebbe reclutare nuovi aderenti dopo l’ingresso della famiglia Monge). I nomi in campo sono quelli con cui da tempo ormai il mercato italiano ha familiarizzato, dai grandi asset manager come BlackRock, Dimensional e Vanguard fino ai fondi sovrani come Norges Bank senza dimenticare grandi istituzioni finanziarie europee come Ubs, Crédit Agricole o Deutsche Bank da sempre attente alle blue chip del mercato tricolore. Lo zoccolo si è consolidato negli ultimi anni visto che il peso e la diversificazione geografica degli istituzionali si sono notevolmente accentuati. In Piazzetta Cuccia oggi solo il 14% dei fondi è italiano, mentre il resto proviene soprattutto dagli Stati Uniti (41%), dal Regno Unito (18%) e dal resto d’Europa. L’esito delle assemblee dipende insomma ancora da questi soggetti.

Il passo indietro di Delfin e l’apparente coesione dei fondi non privano però di interesse l’appuntamento del 28. I riflettori rimarranno infatti puntati su Del Vecchio che, con il 18,9% in proprio possesso, potrà comunque lanciare messaggi al board e al mercato. Al momento si possono fare soltanto ipotesi sulla strategia dell’imprenditore. Se il termine per bloccare le azioni (record date) scadeva lo scorso 19 ottobre, per depositare i titoli ci sarà infatti tempo fino alla mezzanotte di lunedì 25 e potenzialmente anche oltre. Alla luce della parziale convergenza avvenuta nelle scorse settimane, difficilmente però Delfin potrà esprimere un voto contrario sulle modifiche. Più arduo è prevedere le mosse di Francesco Gaetano Caltagirone. L’imprenditore preferisce per ora mantenere un profilo molto basso sulle vicende societarie di Mediobanca di cui pure detiene almeno il 3% (la quota potenziale nell’estate scorsa si spingeva in prossimità del 5%). «La nostra partita rimane solo quella su Generali», hanno più volte ribadito negli ultimi mesi fonti vicine al gruppo romano. Alla luce di queste considerazioni non si può escludere che Caltagirone diserti l’appuntamento, come accaduto nella primavera scorsa per l’assise della compagnia. Di sicuro è sulla governance di Trieste che l’attenzione rimane concentrata. Su questo fronte Mediobanca va dritta per la propria strada, intenzionata a confermare il ceo Philippe Donnet anche se con il voto contrario dei grandi imprenditori. Se a breve partirà il lavoro degli advisor sulla long list dei candidati, qualcuno crede che ci sia ancora spazio per un riavvicinamento tra i grandi soci e Piazzetta Cuccia. Un auspicio plausibile? Si vedrà. Di certo oggi sia Del Vecchio sia Caltagirone hanno già iniziato a lavorare sul progetto di una lista con candidati di standing e un progetto strategico alternativo per Generali. A dare ascolto ai sussurri della city milanese, il nome favorito per la poltrona di ceo sarebbe ancora quello dell’attuale ceo di Poste Matteo Del Fante che pure in passato aveva escluso un interesse, mentre per la presidenza si scommette su Claudio Costamagna. Il proxy advisor Georgeson sarebbe invece al lavoro per sondare i grandi fondi e portarli dalla parte dei pattisti. (riproduzione riservata)
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