Paola Valentini
Alle banche l’enorme massa di liquidità che giace sui conti rappresenta un costo. Quindi, per disincentivare i depositi, gli istituti hanno iniziato ad applicare commissioni, per ora sulle giacenze più alte. Ma soprattutto, per le società di gestione, queste risorse rappresentano un bacino cui attingere e il momento appare propizi,o perché si iniziano a vedere segnali di un ritorno agli investimenti dopo un lungo periodo di forte accumulo del risparmio da parte delle famiglie italiane, dovuto all’incertezza e al calo dei consumi nella pandemia. Infatti i dati Abi di agosto segnalano che i depositi nelle banche italiane ammontano a 1.799 miliardi di euro , 128 miliardi in più rispetto a un anno prima, ma per la prima volta dopo mesi si tratta di un importo in calo rispetto al massimo storico di 1.805 miliardi segnato a luglio. Un’inversione di tendenza importante che indica una ripresa dell’attività di investimento delle famiglie e che trova riscontro negli ultimi dati sulla raccolta di Assogestioni di agosto: i flussi nel risparmio gestito hanno raggiunto 9,3 miliardi il massimo dall’agosto 2014 (12,7 miliardi). E agosto, come emerge dai dati Assoreti, nonostante il periodo vacanziero, è stato per le reti addirittura il miglior mese di sempre con afflussi totali per 4,1 miliardi, l’84% dei quali riferiti a soluzioni gestite. L’industria italiana dell’asset management ha così raggiunto un nuovo massimo storico di masse (2.561 miliardi) con prospettive di crescita brillanti sostenute dallo stock liquido giacente sui conti correnti.

«Si stima che la propensione al risparmio possa ritornare ai livelli pre-Covid nel 2023. Le opportunità di business per le diverse componenti del wealth management, quindi, sono numerose», conferma Rossella Locatelli, consigliere di Intesa Sanpaolo e docente di Economia degli intermediari finanziari all’Università dell’Insubria. Una dote ricchissima che se da un parte è linfa vitale per le sgr, come rovescio della medaglia, pone alle stesse non pochi problemi perché i tassi ai minimi rendono sempre più difficile trovare nei classici asset quotati opportunità di rendimento all’altezza delle aspettative degli investitori. Robeco nel suo ultimo rapporto sui rendimenti attesi 2022- 2026 (si veda tabella) sul mondo delle azioni e bond prevede che «tassi d’interesse reali negativi rimarranno d’attualità a lungo». Una dinamica che riguarda anche le azioni: «Le incandescenti valutazioni suggeriscono rendimenti inferiori alla media nel medio termine per tutte le asset class», avverte Robeco. Anche per Payden & Rigel la visione sui tassi è prudente: «Riteniamo che la solida ripresa economica dalla pandemia continuerà nel 2022. In seguito, potrebbe esserci più moderazione, ma verso una crescita simile al trend. L’inflazione si calmerà man mano che si allentano i fattori temporanei come i blocchi dell’offerta e le carenze di manodopera. In questo contesto le banche centrali resteranno accomodanti. Non prevediamo un aumento dei tassi da parte della Fed fino al 2023 e, solo in seguito, per la Bce», afferma Nigel Jenkins, responsabile obbligazionario mandati globali di Payden & Rygel che stima un rendimento annualizzato per i bond da qui al 2026 dallo 0,5% dei titoli di Stato di Paesi sviluppati fino a un massimo del 4% per le obbligazioni emergenti in valuta locale (si veda tabella).

Ancora più cauta è l’indicazione di Robeco che va dal -1,5% dei titoli di Stato in euro tripla A fino al 2,75% dei debito pubblico dei Paesi emergenti in valuta locale. «I clienti stanno cercando di essere creativi per mantenere i rendimenti che si aspettano, o date le valutazioni piuttosto piene, cercando protezione dove possono trovarla. Questo può significare rinunciare alla liquidità, può significare allontanarsi da ciò che c’è tipicamente in un prodotto più tradizionale a reddito fisso o azionario», commenta Dan Ivascyn, chief investment officer di Pimco.

Si spiega così la ricerca di mercati innovativi sui cui investire, a partire dai private asset ovvero attivi non quotati sui mercati regolamentati. Investimenti che si inquadrano anche nell’ambito del sostegno all’economia reale auspicato dai governi e rilanciato dal Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) da oltre 200 miliardi di euro per l’Italia sull’orizzonte 2021-2026 che creerà opportunità di crescita per i capitali privati. «Gli asset reali saranno la scommessa vincente per un nuovo ciclo economico post Covid che potrebbe continuare a spingere i capitali verso queste classi di attivi che offrono una protezione dall’inflazione e una prospettiva di rendimenti più elevati. Possono quindi contribuire ad affrontare le sfide economiche derivanti dalla ripresa dalla crisi generata dal Covid e a soddisfare le aspettative degli investitori sia in termini di performance che di impatto. Per questo è fondamentale rendere gli asset reali accessibili a una più ampia gamma di risparmiatori», afferma Dominique Carrel-Billiard, global head of real assets di Amundi. E nel mirino c’è il mercato del debito non quotato o le infrastrutture che offrono un flusso di redditività paragonabile, come periodicità a quello dei bond quotati, ma potenzialmente più elevato. Certo, il fenomeno dei mercati privati non è nuovo, ma se fino a poco tempo fa a dominare erano le società di gestione specializzate, ora i confini sono più sfumati e anche le sgr tradizionali allargano il raggio d’azione su questo fronte con acquisizioni ad hoc di asset non quotati da inserire nel portafoglio dei loro fondi sempre più alternativi. Nelle ultime due settimane sono salite alla ribalta un paio di operazioni che vanno in questa direzione e che mostrano proprio la ricerca da parte delle sgr di nuove frontiere di investimento.

Ad esempio a fine settembre i fondi gestiti dall’asset manager britannico M&G Investments hanno comprato da Younited un portafoglio di prestiti al consumo generati in Italia per un totale di 180 milioni, con l’intenzione di rilevare altri 120 milioni, sempre in Italia, il secondo mercato per la intech francese. Dall’aprile 2016, quando ha aperto in Italia, Younited ha originato oltre mezzo miliardo di prestiti e con una crescita del 100% anno su anno nei primi sette mesi del 2021. «Abbiamo registrato una domanda crescente per entrare nel mondo dei prestiti al consumo da parte di investitori internazionali, in particolare nell’attuale contesto di bassi tassi», afferma Alexandra Solnik, chief capital markets officer di Younited. Fa eco Andrea Orsi, country head Italia di M&G Investments: «cerchiamo per i nostri distributori e i nostri clienti istituzionali fonti alternative di rendimento che oggi le classi di attivo tradizionali quali l’azionario e l’obbligazionario fanno fatica a offrire perché è cambiato profondamente il contesto macro». Ma si tratta di asset class che prevedono un impegno di lungo termine con tutti i rischi del caso: in alcuni portafogli prima che capitale venga effettivamente allocato possono passare mesi, inoltre al momento del disinvestimento i rimborsi possono richiedere anche un anno. «A fronte di questa illiquidità gli investitori si aspettano premi al rischio adeguatamente remunerati. Ad esempio il fondo che ha acquistato il portafoglio di prestiti di Younited ha un obiettivo di rendimento stimato dell’8-10% all’anno su un orizzonte di 7-10 anni, ciò fa capire come l’immobilizzazione degli investimenti possa trovare un premio al rischio appropriato», osserva Orsi. Il comparto in questione è l’M&G Specialty Finance Fund, che investe in varie tipologie di prestiti al consumo, ed è dedicato alla clientela istituzionale. A questo si affianca sul reale estate il fondo European Property Fund, anch’esso dedicato agli istituzionali, per il quale M&G ha un team locale basato a Milano per la selezione di immobili su cui investire in Italia. «Il business dei mercati privati è più complesso rispetto a quello delle attività quotate anche per la molteplicità delle asset class coinvolte. Ci sono due modalità con le quali le sgr possono posizionarsi sul tema: tramite acquisizioni esterne di player specializzati oppure creando team ad hoc. Nel caso di M&G partiamo avvantaggiati avendo già le necessarie competenze interne», dice Orsi.

Se M&G ha rilevato un pacchetto di prestiti, un altro big del risparmio gestito, Bnp Paribas Asset Management, ha scelto di comprare una intera società attiva nei prestiti. L’asset manager francese lunedì 27 ha annunciato l’ingresso in Dymanic Credit Group, gruppo olandese che gestisce attivi per 9 miliardi, costituiti soprattutto da mutui olandesi sottoscritti attraverso la propria piattaforma online.

Per Bnp Paribas, «grazie all’interessante profilo rischio-rendimento e alle basse spese di capitale legate alla direttiva Solvency II, i mutui olandesi rappresentano un investimento interessante in un contesto di bassi tassi come l’attuale». La banca francese prevede inoltre che gli investimenti nei mutui olandesi «continueranno a crescere in modo costante: questo mercato rappresenta un ambito d’investimento fondamentale sia per assicuratori, fondi pensione e banche nei Paesi Bassi che in generale per gli investitori di tutta Europa». Con Dymanic Credit la divisione di Bnp Paribas dedicata al private debt e ai real asset, nata nel 2017, raddoppia le masse nei mercati privati aggiungendo agli 11 miliardi che già gestiva altri 9 miliardi. «Per rispondere all’interesse degli investitori verso nuove fonti di rendimento che offrono premi al rischio interessanti gli asset manager devono cambiare veste e cercare di supportare questa domanda attingendo a nuove risorse», avverte Orsi. Una domanda che ora arriva non soltanto dal mondo degli istituzionali, ma si inizia a mostrare solida anche nel segmento del private banking.

In quest’ottica M&G ha l’intenzione di proporre alle reti di private banking, con le quali ha accordi di distribuzione per i fondi tradizionali, anche fondi di real asset dedicati. Un segmento quello dei clienti privati d’alta gamma che ha ampie potenzialità come mostra il caso di Tages Capital Sgr, asset manager specializzato in fondi di investimento alternativi infrastrutturali e secondo operatore fotovolatico in Italia (dopo F2i) con il portafoglio impianti dei fondi Helios I e poi Helios II. Quest’ultimo ha chiuso la raccolta a maggio con la cifra record di 477 milioni e una significativa quota di flussi è arrivata da family office e investitori privati grazie anche alla partnership con una rete di private banking di una grande banca italiana che ha permesso di aprire a una platea più vasta asset di solito prerogativa degli istituzionali. (riproduzione riservata)

I dati alternativi conquistano le sgr
Non soltanto le gestioni, ma anche i dati alternativi sono sempre più centrali nelle decisioni di portafoglio accanto alle tradizionali analisi dei numeri tratti dai bilanci. Secondo il report «The Alternative Data World» di Klecha & co., la spesa in questo ambito è destinata a ridisegnare le strategie di vari settori, in particolare negli investimenti. I dati alternativi provengono da fonti digitali aggiornate in tempo reale, che possono includere immagini satellitari, feed dei social media, dati dei dispositivi mobili o di localizzazione, transazioni finanziarie e persino gli input dei sensori. Si tratta di numeri in rapida crescita: basti pensare che il 90% dei dati disponibili a livello mondiale è stato prodotto solo negli ultimi due anni. Fattore cruciale è lo sviluppo di strumenti fondati sull’intelligenza artificiale sempre più avanzati: infatti, solo se analizzati correttamente, i dati alternativi possono dare informazioni di valore per la previsione di trend o anche di singoli eventi. A causa della disponibilità limitata di tecnologie, molte statistiche possono essere sfruttate superficialmente. Klecha & co. segnala che gli investimenti di hedge fund, fondi pensione e fondi comuni su questi dati sono aumentati da 232 milioni di dollari nel 2016 a 1,7 miliardi di dollari nel 2020. Si prevede che la loro crescente domanda alimenterà lo sviluppo del mercato dell’analisi dei dati che, secondo un report di Grand View Research, potrebbe raggiungere 17,4 miliardi di dollari entro il 2027, dieci volte di più rispetto al valore del 2020. I dati alternativi hanno già iniziato a offrire ai fondi un vantaggio competitivo, individuando criticità che si sono poi riverberate nel prezzo delle azioni. Un esempio?

Nell’aprile 2019, una società di ricerca disse ai clienti che un Gulfstream V di Occidental Petroleum era stato avvistato all’aeroporto di Omaha. Si pensò che i dirigenti di Occidental stavano negoziando con la Berkshire Hathaway di Warren Buffett. Due giorni dopo, Buffett annunciò un investimento di 10 miliardi di dollari in Occidental. Per Klecha & co. i dati alternativi sono rilevanti anche per identificare società che rispettano davvero i criteri Esg. (riproduzione riservata)

Un asset da studiare? I bond sui crediti sanitari
di Elena Dal Maso
Con la prospettive di tassi negativi ancora a lungo e un’inflazione in Italia al 3,4%, trovare investimenti che facciano guadagnare bene non è facile. Per questa ragione le banche stanno promuovendo asset alternativi, che però spesso non sono quotati, sono illiquidi e in alcuni casi di costruzione complessa. Uno fra questi è la cartolarizzazione con sottostante i crediti della pubblica amministrazione, come quelli delle cliniche private convenzionate, che fatturano alle Asl. Storicamente lo Stato italiano paga in ritardo, alcune fatture vengono rimborsate dopo mesi, altre dopo anni.

Nel bilancio del secondo trimestre, Banca Generali ha accantonato 80 milioni di euro su cartolarizzazioni collocate alla clientela costruite con questa logica. La società, guidata dall’amministratore delegato Gian Maria Mossa, ha spiegato che la decisione è stata presa «alla luce di alcune criticità emerse nelle procedure di recupero dei crediti sanitari, anche legate alla lunga situazione pandemica e a un’analisi del portafoglio crediti effettuata con il supporto di un operatore di mercato specializzato, che ha evidenziato una valorizzazione inferiore rispetto a quella attesa». L’importo dell’accantonamento è stato definito nell’ipotesi che tutti gli interessati aderiscano all’operazione di acquisto, da parte della stessa banca, per un valore complessivo di 478 milioni.

Avere in portafoglio strumenti del genere presuppone conoscerne bene i meccanismi, anche perché queste emissioni, quando scadono, se non sono rimborsate, non mandano in fallimento la società che le ha emesse, come ha spiegato a MF-Milano Finanza, Mario Cordoni, amministratore delegato di CFE Finance, boutique svizzera di investment banking, specializzata in strategie di credito di nicchia, con asset under management per 1,5 miliardi di euro. Ed è la società che ha strutturato le cartolarizzazioni in cui ha investito Banca Generali. «Le abbiamo sottoscritte anche noi», riprende Cordoni. «Abbiamo sottoscritto la tranche junior, la più rischiosa, mentre quella senior è andata alla banca. Noi non abbiamo effettuato svalutazioni, siamo fiduciosi di recuperare l’investimento con una buona redditività».

Si tratta di bond senza rating, costruiti con un arco vita di tre e cinque anni e una cedola al 4% pagata mensilmente. «Il primo emesso, con scadenza a fine 2019, è stato interamente rimborsato con sei mesi di anticipo, il secondo è scaduto mesi fa ed è stato rimborsato per circa i due terzi del valore», aggiunge Cordoni. «Questo è un fatto che può accadere ed è stato accentuato dai ripetuti lockdown, che hanno costretto i tribunali a chiudere o a ridurre molto il lavoro. Perché per far pagare la pubblica amministrazione bisogna anche rivolgersi agli avvocati costringendo lo Stato a saldare i conti. Ma il ritardo del rimborso non fa andare in default il veicolo di cartolarizzazione, né tantomeno l’emissione. Al massimo si allunga il tempo del rimborso, un fatto che il mercato professionale conosce», ragiona Cordoni. Gli hedge fund come Apollo, Blackstone, York, Elliott,ma anche soggetti italliani come Banca Sistema o Bff bank, apprezzano molto questo tipo di investimenti per il fatto che l’Ue ha imposto all’Italia una mora dell’8% annuo se le fatture vengono pagate con oltre 60 giorni di ritardo.

Banca Generali ha spiegato nell’ultima trimestrale di aver effettuato questa scelta per tutelare i clienti professionali da una potenziale perdita relativa a investimenti in titoli di cartolarizzazioni di crediti sanitari. Il valore di 80 milioni è legato alla stima fatta sull’impatto massimo dell’offerta di acquisto che la banca lancerà pagando ai clienti un valore non inferiore a quanto investito inizialmente, «dedotti i rimborsi intervenuti e le cedole incassate». A questo punto la stessa banca, se manterrà, paziente, le cartolarizzazioni in portafoglio, potrebbe incassare delle plusvalenze. Cfe Finance ha effettuato 15 cartolarizzazioni in cinque anni con hedge e family office elvetici e inglesi. Prima di fondare Cfe nel 2001, Cordoni ha rivestito il ruolo di Co-Managing Director di Cofime (Compagnia Finanziaria Mercantile di Torino) e, dal 1985, di Socona Holding (Ginevra) dove è stato a capo delle filiali in Algeria e Marocco. (riproduzione riservata)
Fonte: