L’emergenza ha fatto lievitare le somme depositate sui c/c e la tendenza 
è destinata a proseguire con le nuove restrizioni. Per spingere le famiglie a investire 
di più in tempi di tassi zero ora anche le grandi banche guardano a soluzioni digitali

di Paola Valentini
Anche il denaro può essere smart. In tempi di tassi ai minimi gestire il risparmio cercando di ridurre i costi è una strada che forse vale la pena di percorrere. E la via del digitale offre sempre più soluzioni su questo fronte. In base agli ultimi dati le obbligazioni a livello globale con rendimenti negativi sono tornate al livello più alto mai registrato nella storia, oltre 17 mila miliardi di dollari, perché la caccia ai rendimenti ha fatto scattare gli acquisti dopo l’ondata di vendite lo scorso marzo quando è scoppiata la pandemia. A seguito dell’intervento delle banche centrali per ridurre l’impatto della crisi, «lo stock di titoli con tassi negativi è cresciuto, sostenuto dalla ripresa del mercato del credito e dall’aumento del risparmio», dice Andrey Kuznetsov, senior portfolio manager di Federated Hermes.

Il risparmio è cresciuto anche in Italia dove ha raggiunto il livello record di oltre 1.680 miliardi di euro (dati Abi), a tanto ammonta la liquidità depositata sui conti correnti delle banche, un importo superiore a quello che probabilmente sarà il pil dell’Italia quest’anno. L’incremento è dell’8% su base annua, ovvero 125 miliardi in più in 12 mesi. Un importo che potrebbe diventare, andando avanti di questo passo, la metà della ricchezza finanziaria totale delle famiglie italiane, pari a 4.300 miliardi.
La tendenza all’aumento della liquidità parcheggiata sui c/c si è accentuata durante i mesi del lockdown della scorsa primavera: in parte perché durante questo periodo non era facile spendere, ma soprattutto perché i timori di un futuro incerto hanno creato un senso di vulnerabilità. Il risparmio forzoso è nato da continuità nelle retribuzioni e tagli nei consumi. Del resto, nel periodo della quarantena sono stati 28 milioni i percettori di reddito le cui entrate non sono state intaccate (pensionati, dipendenti pubblici, lavoratori del settore privato non in cassa integrazione), pari al 71% del totale.

L’ultimo rapporto Censis-Assogestioni segnala che ben il 38% degli italiani ha incrementato i risparmi durante il coprifuoco. La liquidità nei portafogli delle famiglie italiane è aumentata di oltre 34 miliardi nei tre mesi più neri dell’epidemia (febbraio-aprile).

Sono risorse che si sommano ai 121 miliardi di liquidità aggiuntiva accumulata negli ultimi tre anni, prima dell’esplosione dell’epidemia (+8,4% in termini reali nel triennio). Se il trend proseguirà allo stesso ritmo del triennio trascorso, nel 2023 ci saranno altri 135 miliardi di liquidità sui c/c. Un’ipotesi che trova riscontro nelle previsioni: da qui ai prossimi mesi il 34% degli italiani, in base all’indagine Censis, considera la liquidità lo strumento principale per la propria protezione. Dati in linea con il sondaggio Acri-Ipsos condotto in occasione della Giornata Mondiale del Risparmio (30 ottobre): oggi è al 58% la quota di chi accantona risorse e in cima alle preferenze c’è ancora la liquidità (63%). E le nuove restrizioni in atto accentueranno questa dinamica, come risulta da una ricerca di N26 sulla maggiore propensione al risparmio degli italiani rispetto al primo lockdown: un italiano su tre (34%) ha dichiarato di aver rinunciato a una spesa non essenziale per risparmiare denaro.

Una massa di liquidità che le reti della consulenza finanziaria hanno subito cercato di intercettare, trovandosi però per la prima volta a fare i conti con la maggior propensione degli investitori a muoversi in autonomia con gli strumenti digitali. E se dallo studio Censis emerge che l’81% degli italiani che hanno un consulente finanziario di riferimento è soddisfatto per risultati raggiunti e supporto ricevuto durante il primo lockdown, la fase di chiusura delle attività ha anche significato l’ingresso in pianta stabile di web e app, nella vita finanziaria degli italiani. Il 54,2% degli intervistati nel periodo del confinamento ha fatto ricorso alle nuove tecnologie: dalle app all’online per la gestione dei risparmi fino agli strumenti per il controllo da remoto dell’andamento degli investimenti e del conto corrente. In futuro quasi il 40% le utilizzerà ancor di più e il 58,4% continuerà a usarle come nell’emergenza. Sempre dallo studio di N26 emerge che il 17% ha affermato di essere più propenso ad affidarsi a applicazioni per la gestione del denaro e la pianificazione delle spese.

In pole position nella gestione digitale del risparmio ci sono i robo advisor, piattaforme che si basano su algoritmi che consentono di analizzare il profilo di ciascun cliente via web e di offrirgli portafogli di investimento personalizzati. Portafogli che, a loro volta, sono costruiti utilizzando algoritmi. Solitamente sono costituiti da Etf appunto per ridurre le commissioni oppure da fondi scelti tra i più economici. I canali digitali permettono di ridurre i costi proprio perché non si affidano alla consulenza umana. Ma per ora sul mercato italiano gli operatori che propongono portafogli selezionati dall’intelligenza artificiale si contano sulle dita delle mani (articolo accanto) e sono tutti indipendenti o nati sotto l’ala di banche già digitali. «In Italia finora il modello del robo-advisory non ha attecchito come in altri Paesi, a partire dal mercato Usa, perché ci si affida ancora molto alla figura del consulente finanziario delle reti o delle banche», dice Mauro Panebianco, partner di Pwc.

Ma qualcosa inizia a cambiare. Di recente il mercato ha visto scendere in campo un big del calibro delle Poste che si è alleato con Moneyfarm, uno dei primi robo advisor in Italia, che ha elaborato sette linee in Etf attivabili direttamente sul sito del gruppo guidato dall’ad Matteo Del Fante. Un modello che farà da apripista. «In Italia in questi anni ci sono stati forti investimenti per rendere più agile la relazione con il cliente sfruttando le possibilità offerte dalla tecnologia che permette di ridurre la documentazione cartacea e operare in modalità paperless. E ora la pandemia spingerà ad adottare soluzioni ancor più digitali: mi aspetto che le limitazioni della possibilità di contatti fisici con il proprio consulente produrranno un notevole incremento della crescita del digital wealth management in Italia», afferma Panebianco.

A luglio un report della Consob sugli impatti del Covid-19 curato da Nadia Linciano sottolineava che «il lockdown prima e la propensione a mantenere volontariamente forme di distanziamento sociale poi potrebbero favorire una rapida evoluzione del fenomeno sia dal lato dell’offerta sia dal lato della domanda. Banche e operatori dei mercati finanziari in grado di rimodulare e adeguare i propri modelli di business in modo efficiente e tempestivo alle nuove tendenze potrebbero diventare i propulsori di profonde innovazioni dell’offerta di prodotti e servizi bancari e finanziari. Al tempo stesso, si potrebbe registrare una più rapida accettazione della tecnologia da parte degli utenti e una propensione crescente all’utilizzo di canali e piattaforme digitali».

Proprio la necessità di creare un canale per dirottare sugli investimenti massa di liquidità che giace sui c/c sta convincendo anche le grandi banche tradizionali ad entrare nell’arena dei robo-advisor. «Il cash nei depositi bancari, come si è visto durante il lockdown della scorsa primavera, è diventato una vera e propria asset class. Il rischio però è che rimanga infruttifero perché le restrizioni alla circolazione, limitando i contatti fisici con la propria banca o il consulente, si ripercuotono sulla capacità di investire dei risparmiatori. Quindi le grandi banche stanno iniziando a essere più proattive sul fronte del digital wealth management perché sono alla ricerca di soluzioni che riescano a sbloccare l’enorme massa di liquidità che giace sui conti correnti», aggiunge Panebianco.

Queste soluzioni inoltre fanno leva proprio sulla possibilità di tenere bassi i costi per conquistare più quote di mercato. Come rileva la Consob in uno dei suoi ultimi studi sul fintech relativo alla robo advisory: «Il prezzo del servizio costituisce un elemento importante della value proposition. Valori contenuti rispetto ai prezzi del servizio tradizionale, ossia offerto tramite consulente fisico, rendono il robo advice molto competitivo soprattutto nel contesto domestico, caratterizzato da una bassa disponibilità degli investitori a remunerare la consulenza». Non c’è dubbio che in Italia ci sia ancora molta strada da fare per rendere l’esperienza dei sottoscrittori di fondi migliore, soprattutto sul fronte dei costi in una fase n cui la tutela degli investitori deve essere una priorità degli intermediari finanziari sempre, ancor di più in tempi di coronavirus con i mercati volatili e i rischi elevati. «Negli Usa proprio la spinta di soluzioni tecnologiche per la gestione del risparmio, insieme alla maggior concorrenza dei prodotti passivi hanno prodotto, soprattutto dal 2004 al 2016, una forte riduzione dei costi dei fondi. Una dinamica che non è così evidente sul mercato italiano: tra i grandi player c’è stata una leggera flessione, altri hanno aumentato le commissioni di gestione per compensare la riduzione di quelle di incentivo richiesta dalle regolamentazioni europee», nota Panebianco. Certo, accanto alle commissioni, anche le performance contano. E anche qui, come nel caso dei consulenti, i risultati variano molto. Secondo un’indagine del settimanale Barron’s sulla base dei dati Backend Benchmarking, nel primo semestre di quest’anno il miglior risultato tra i robo advisor Usa lo ha ottenuto Wealthsimple (+0,43%), al contrario Schawb Intelligent Portfolio ha perso il 6,5%. Con un’avvertenza finale che arriva dalla Consob: «l’eventuale accelerazione della digitalizzazione dei servizi finanziari, pur essendo foriera di vantaggi per tutti, potrebbe aumentare il rischio di esclusione finanziaria di alcune categorie di utenti». (riproduzione riservata)

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