Lo afferma la sentenza n. 26510 pubblicata il 22 settembre 2020 dalla quinta sezione penale della Cassazione valutando se è reato l’utilizzo di fotocopie che vorrebbero rappresentare documenti poi giudicati non veritieri

ANTIFRODE ASSICURATIVA 

di F. Sulis e MR. OLIVIERO

A distanza di mesi la Suprema Corte torna a discutere della produzione e dell’utilizzo dei documenti fotocopiati, utilizzati con una certa disinvoltura da soggetti privati. In questo caso a ricorrere per Cassazione è stato un imputato ritenuto responsabile dalla Corte di Appello di Genova del delitto di falso materiale commesso dal privato in atto pubblico, per aver contraffatto un referto di un esame strumentale apparentemente eseguito presso un Ospedale genovese, depositandone una copia fotostatica presso l’INAIL.

Sentenza Cassazione n. 26510 2020

REATOCon la sentenza n. 26510, depositata il 22.09.2020 la Quinta Sezione Penale della Cassazione ha annullato la sentenza di condanna: nel richiamare quanto affermato dalle Sezioni Unite, gli ermellini hanno sottolineato che per aversi rilevanza penale la copia prodotta deve assumere l’apparenza di un atto originale e che «sia esclusa la configurabilità del reato in un caso di esibizione di una fotocopia di un atto pubblico inesistente, riconoscibile come tale, in quanto priva di attestazione di autenticità e dei requisiti formali e sostanziali idonei a farla apparire come un atto originale»

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