GIURISPRUDENZA

Il punto della giurisprudenza sul valore della constatazione amichevole di sinistro

Autore: Bianca Pascotto
ASSINEWS 323 – ottobre 2020  

Di acqua ne è passata sotto i ponti da quando la CAI veniva depositata in giudizio e ritenuta un documento importante per la prova di incidente stradale. L’evoluzione giurisprudenziale da un lato e l’italico malcostume, dall’altro, di frodare il sistema assicurativo sottoscrivendo false CAI hanno di fatto, reso priva di ogni valore la constatazione amichevole che ha assunto le vesti di semplice indizio dell’avvenuto scontro tra due o più veicoli e perso ogni connotazione di valida e pregnante presunzione che poteva essere messa in discussione solo dalla compagnia o dalle risultanze processuali laddove dimostravano l’inconciliabilità del sinistro con le dichiarazioni emesse dalle parti.

La riprova di un tanto è una recente sentenza del Tribunale di Ravenna (dal 12 marzo 2020), confortata da numerose pronunce del supremo collegio. Il fatto Tizio conveniva avanti il Tribunale di Ravenna la propria impresa assicuratrice, chiedendo il risarcimento dei danni a cose e persona a seguito dell’urto causato da altro veicolo che aveva invaso la sede stradale percorsa dall’attore, omettendo di arrestarsi allo Stop.

La compagnia si opponeva contestando la dinamica del sinistro, assai poco chiara anche in ragione delle lesioni personali lamentate dall’attore (12% di IP) e in difetto, comunque, chiedeva l’applicazione del concorso di colpa ex art. 2054 c.c..

La causa veniva istruita con perizia cinematica e perizia medico legale, senza l’assunzione di testimonianze ed in assenza di rapporto stradale. La soluzione Il Tribunale rigetta la domanda di Tizio, ritenendo che lo stesso non abbia raggiunto la prova della pretesa risarcitoria.

Le circostanze di fatto rappresentate da Tizio, infatti, pongono seri dubbi sul se e sul come sia verificato l’incidente. Ad eccezione della CAI sottoscritta da entrambi i conducenti coinvolti, Tizio non ha prodotto le foto dei luoghi, non ha prodotto le foto del veicolo della controparte per la verifica della compatibilità (contestata dalla compagnia) degli urti tra le vetture, non ha richiesto l’escussione di alcun testimone, né l’interrogatorio del conducente danneggiante, peraltro, non evocato in giudizio.

Tizio, nonostante avesse subito lesioni di una certa entità, non aveva richiesto l’intervento della pubblica autorità in costanza di incidente e in causa ha offerto una indicazione del luogo del sinistro assai poco chiara, difficilmente conciliabile con l’andamento dei veicoli al momento dello scontro.

La CTU ricostruttiva, poi, ha evidenziato numerosi e seri dubbi che l’incidente si sia verificato nelle modalità descritte dall’attore (urto laterale subito dal Mercedes attoreo che avrebbe sbandato a sinistra e a destra finendo la sua corsa contro il guard rail). Ad un tanto aggiungasi che Tizio si è presentato da solo al Pronto Soccorso, come indicato nel referto, nonostante una diagnosi di trauma cranico facciale, circostanza quest’ultima che avrebbe consigliato la richiesta di intervento in loco dell’autoambulanza o comunque il trasporto del leso ad opera di un suo famigliare o dell’investitore.

Insomma tante e troppe sono le divergenze che caratterizzano il sinistro per il Tribunale e che depongono per il mancato raggiungimento dell’onere probatorio che incombe all’attore, giacché se può verosimilmente sostenersi che si sia verificato un incidente che ha coinvolto Tizio, non vi è prova che lo stesso si accaduto con le circostanze da lui descritte e soprattutto per colpa del veicolo antagonista rimasto celato nell’ombra (la controparte non è stata convocata in giudizio, né si sono prodotti documenti atti a dimostrare il suo coinvolgimento). Per il Tribunale di Ravenna la prova del sinistro non può rinvenirsi nella CAI, pur se sottoscritta da entrambi i conducenti.

Alla luce del comma 2 dell’art. 143 cod. ass. “Quando il modulo sia firmato congiuntamente da entrambi i conducenti coinvolti nel sinistro si presume, salvo prova contraria da parte dell’impresa di assicurazione, che il sinistro si sia verificato nelle circostanze, con le modalità e con le conseguenze risultanti dal modulo stesso”, infatti, la CAI rappresenta una semplice presunzione a favore del danneggiato, presunzione che può essere superata:
1) dalla prova contraria che deve fornire la compagnia quando vi è contestazione della dinamica;
2) dalla discrezionalità con la quale il giudice valuta le emergenze probatorie, non essendo lo stesso vincolato nella decisione da alcuna prova legale (ad esempio confessione, giuramento, atto pubblico).

Questo perché le dichiarazioni rese e sottoscritte dalle parti nella CAI, pur avendo la natura di confessione ed efficacia di piena prova contro coloro che le hanno rese ex art. 2735 c.c., nel giudizio instaurato contro la compagnia perdono detta efficacia e sono liberamente valutate dal Giudice, ovvero hanno semplicemente un valore indiziario sottoposto alla discrezionalità del giudicante.

Questa “doppia veste” indossata dalle dichiarazioni CAI, è frutto del combinato disposto di quattro articoli:
1) art. 2733 comma 3 del codice civile “in caso di litisconsorzio necessario la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è liberamente apprezzata dal giudice”;

2) art. 102 del codice di procedura civile “se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo”;

3) art. 144 comma 1 e 3 cod. ass. “Il danneggiato per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un natante, per i quali vi è obbligo di assicurazione, ha azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell’impresa di assicurazione del responsabile civile, entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata l’assicurazione. Nel giudizio promosso contro l’impresa di assicurazione è chiamato anche il responsabile del danno”.

4) art. 143 comma 2 cod. ass. sopra richiamato. È noto che nel giudizio promosso dal danneggiato con l’azione diretta, vi partecipano obbligatoriamente il danneggiato, la compagnia ed il danneggiante (tutti litisconsorti necessari), da cui ne consegue il seguente corollario:
a) le dichiarazioni rese dai conducenti coinvolti nel sinistro hanno tra loro efficacia di confessione;
b) dette dichiarazioni non hanno il valore di confessione nei confronti della compagnia, in quanto la stessa è soggetto terzo non confitente;
c) se la confessione è resa solo da uno o da alcuni dei litisconsorti necessari ma non da tutti, la confessione non obbliga gli altri e deve essere liberamente valutata dal giudice.

È evidente che quando una decisione deve essere emessa nei confronti di tutti i soggetti legati da un rapporto inscindibile (ancorchè disciplinato da titoli e norme diverse quali as sicurato ed assicuratore, assicurato e danneggiante), dovrà essere forzatamente uniforme e dovrà, quindi, utilizzare un unico metodo di accertamento della responsabilità o meglio una valutazione del materiale probatorio uguale per tutti i soggetti interessati.

Non sarà possibile, pertanto, che la CAI abbia il valore di confessione per il danneggiante ed il valore di semplice presunzione per la compagnia; se così fosse si perverrebbe ad una decisione che, da un lato, condanna il danneggiante in forza delle dichiarazioni confessorie rese nella CAI e dall’altro, manderebbe esente la compagnia perché dette dichiarazioni non possono spiegare efficacia nei suoi confronti.

Ecco il motivo per cui si giunge ad affermare che, per l’unicità del giudizio, le dichiarazioni rese nella CAI non spiegano l’efficacia di confessione nei confronti della compagnia ma soprattutto non la spiegano neppure tra le stesse parti che le hanno rese. Come dire o tutto o niente! Sarebbe impensabile pervenire ad un diverso e differenziato giudizio di responsabilità sulla base delle dichiarazioni sulle modalità del sinistro indicate nella CAI.

Questo è il portato non solo del dettato normativo ma dell’evoluzione giurisprudenziale la quale pur riconoscendo da sempre il valore presuntivo della CAI nei confronti della compagnia, inizialmente attribuiva, maggior pregnanza alle dichiarazioni rese nella CAI e di guisa “il modulo di constatazione amichevole di sinistro, quando è sottoscritto – come nel caso di specie – dai conducenti coinvolti, …nei confronti dei conducenti ha valore di confessione stragiudiziale resa alla parte e – a norma dell’art. 2735 cod. civ. – produce i medesimi effetti della confessione giudiziale; mentre genera una presunzione iuris tantum valevole nei confronti dell’assicuratore, come tale superabile con prova contraria” (Cass. Civ., 16/4/1997 n. 3276; 03.04.1998 n. 3462; Cass. 29.03.2000 n. 3785; Cass. 01.07.02 n. 9548; Cass. 21.02.03 n. 2659.

In buona sostanza, il modulo sottoscritto da entrambi i conducenti determinava nei confronti della compagnia di assicurazione – ai sensi dell’art. 5 comma 2 del D.L. 1976 n. 857, convertito in L. 1977 n. 39 – una presunzione “pro veritate” del suo contenuto e cioè che il sinistro si fosse verificato nelle circostanze, con le modalità e con le conseguenze risultanti dal modulo sottoscritto, incombendo all’impresa l’onere di fornire la prova contraria.
Il taglio netto lo abbiamo assistito con la pronuncia delle sezioni unite nel 5 maggio 2006, la quale è pervenuta al giudizio di unicità, negando che uno stesso fatto possa essere valutato in maniera diametralmente opposta ed essere ritenuto sussistente per una delle parti in causa (danneggiante) e negato per l’altra (impresa assicuratrice) e un tanto indipendentemente del problema processuale del litisconsorzio necessario.

Da questa decisione la linea di discesa è stata a senso unico.1 Nel caso di specie non è difficile comprendere il perché la CAI non sia stata ritenuta neppure elemento presuntivo giacché le incompatibilità tra le emergenze processuali e la descrizione dei fatti offerta dall’attore, ha giustamente precluso al giudice attribuire alla CAI alcuna valenza confessoria.

Ma se per un verso è condivisibile e del tutto logica la soluzione ci è pervenuta la giurisprudenza, non sono pochi i casi, invece, in cui la CAI è l’unico mezzo probatorio di cui dispone il danneggiato e se la compagnia contesta la dinamica, è dura per il danneggiato ottenere il ristoro del danno totale, dovendo in difetto accontentarsi di veder applicato un concorso di colpa.

Si pensi ad esempio ad un sinistro “genuino” in cui sono coinvolti due veicoli ma senza la presenza di testimoni, oppure al caso in cui non sia richiesto l’intervento della pubblica autorità, oppure, ancora al caso di una CAI redatta non correttamente, come spesso accade o per la fretta o per disattenzione o per ignoranza (classica è la dicitura del danneggiante “mi assumo tutta la responsabilità” senza magari indicare la tipologia di urto).

In questi casi la CAI è il solo documento che attesti le circostanze del sinistro ma ove la compagnia contesti la dinamica, l’eccezione obbliga il danneggiato a dimostrare l’indimostrabile, spesse volte anche non buona pace della prova contraria che la compagnia dovrebbe offrire.