L’eterno tema delle pensioni, se ne parla da oltre 40 anni, torna prepotentemente alla ribalta perché quota 100 scade e occorre pensare a cosa fare. Sarebbe necessario, come più volte abbiamo evidenziato, procedere ad una revisione sia della eccessivamente rigida riforma Fornero sia del «liberi tutti» di quota 100 ma in modo se non definitivo almeno per i prossimi dieci anni. Ma perché il sistema pensionistico sia sostenibile nel tempo occorre anche un insieme di politiche attive che generi un rapporto demografico attivi/pensionati almeno sopra 1,5. Stando alle anticipazioni che circolano in questi giorni per entrambi gli obiettivi si pensa a proposte provvisorie e al rinvio di decisioni; insomma ancora «toppe» per mancanza di coraggio. E di provvedimenti tampone ce ne sono stati tanti negli ultimi 12 anni: si pensi alle otto salvaguardie per correggere gli eccessi della Fornero, le prime due realizzate proprio dal governo Monti. Poi una serie di fantasie italiche come opzione donna, precoci, lavori faticosi, ape sociale, lavori gravosi e infine quota 100.

Tutti provvedimenti tampone per non ammettere che la riforma Fornero non funziona perché è troppo rigida ma anche per guadagnarsi la benevolenza di sindacati e votanti. Insomma in 10 anni gli «scampati» alle regole Monti-Fornero sono stati più di 750 mila, come dire che 10 anni di pensionamento ne sono costati come più di 11. Cosa dovrebbe fare un governo responsabile soprattutto in una situazione disastrata come l’attuale, da anni di incuria industriale e dalla pandemia?

Anzitutto dare certezza ai cittadini con regole semplici e valide per tutti, giovani e anziani, retributivi, misti e contributivi puri; in primis, per tutti coloro che hanno iniziato a lavorare dall’1/1/1996 vanno cancellate tutte le regole previste dalla Fornero che favoriscono solo i redditi alti e penalizzano la gran parte dei giovani che peraltro con i loro contributi ci pagano le nostre pensioni, che devono essere equiparate a tutti gli altri lavoratori compresi i requisiti di pensionamento e l’integrazione al minimo su valori pari alla maggiorazione sociale (630 euro mese) e calcolati sulla base del numero di anni lavorati.

Per tutti mantenere i requisiti per la pensione di vecchiaia con 67 anni di età adeguata alla aspettativa di vita e almeno 20 di contribuzione; quota 100, Ape social, Opzione donna e precoci, possono essere sostituiti dai fondi esubero che sono già operativi per le banche e assicurazioni e sono a costo zero per lo Stato; reintrodurre la flessibilità in uscita alla base della riforma Dini, consentendo un pensionamento flessibile con 64 di età anagrafica (indicizzata alla aspettativa di vita), con almeno 38 anni di contributi (quota 102) di cui non più di 2 anni figurativi (esclusi dal computo maternità, servizio militare, riscatti volontari) e con il periodo dal 1/1/1996 al 31/12/2011 totalmente a contributivo, rendendo stabile la pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi per gli uomini (1 anno in meno per le donne) svincolata dalla aspettativa di vita ed eliminando qualsiasi divieto di cumulo.

Si potrebbero prevedere, sull’esempio della Dini, anticipi per le donne madri (8 mesi per ogni figlio con un massimo di 24 mesi) e per i precoci ogni anno di lavoro prima dei 19 anni dovrebbe valere 1,25 anni. Infine si dovrebbe reintrodurre l’indicizzazione delle pensioni all’inflazione nella misura del 100% fino a tre volte il minimo, 90% da 3 a 5 volte il minimo e 75% oltre 5 volte il minimo sulla quota di pensione «retributiva» mentre per quella contributiva l’indicizzazione deve essere pari al 100% eliminando l’iniquo taglio delle pensioni alte.

Sul lato delle politiche attive invece occorrono decisioni coraggiose e innovative: se uno dei problemi principali del Covid-19 sono gli assembramenti sia sui mezzi pubblici sia presso bar, pub e ristoranti, le soluzioni ci sono e non sono i provvedimenti Conte – Catalfo, divieto di licenziamenti, cassa integrazione, disoccupazione e bonus che peraltro finora ci sono costati oltre 30 miliardi che diverranno più di 34 a fine anno senza aver creato alcuna prospettiva se non la sussistenza, ma per esempio: fare convenzioni per il trasporto anziani, studenti e lavoratori con servizi taxi, noleggi con conducente, bus turistici, tutti soggetti che oggi sono fermi o poco utilizzati e ai quali il bonus da 600 euro non basta per vivere; aumentare l’orario di bar e ristoranti anche oltre le 24,00, prevedendo l’obbligo di presenza seduta ai tavoli da prenotarsi con apposite App anche quelle dei vari delivery; incentivare e aiutare il settore moda, in grave crisi occupazionale, commissionando tutti gli strumenti di Dpi anziché comprarli in Cina con le famose «aste» di Arcuri; infine, ma ce ne sarebbero molte altre, indirizzare le produzioni in crisi verso tutti i dispositivi elettronici per la telemedicina, gli scanner per la febbre e così via: possibile che sia tutto cinese che magari costa il 10% meno ma ci costa miliardi in sussidi alla disoccupazione.

Invece avremo altra Cig, ancora ape sociale, opzione donna, precoci, anticipi pensione e una quota 100 provvisoria, forse una 102 annacquata: un’altra serie di pezze a colori. E intanto, in modo assolutamente falso e sbagliato, Istat comunica alla Commissione Ue che la nostra spesa pensionistica sul Pil arriverà al 17% contro una media Ue poco sopra il 12%; certamente non il miglior viatico per ottenere i fondi europei.

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