di Giuliano Mandolesi
Bruciati 12,4 miliardi di euro di reddito netto degli italiani. Metà delle famiglie italiane non in grado con i propri risparmi di assorbire le perdite subite durante il lockdown. Circa il 10% dei nuclei in crisi di liquidità anche dopo gli interventi del Governo. Questo è lo scenario riportato nell’analisi svolta dalla dipartimento delle finanze del Mineconomia su «L’impatto del Covid-19 e degli interventi del Governo sulla situazione socio-economica delle famiglie italiane nei primi tre mesi della pandemia».

Il documento mostra che le integrazioni introdotte dal governo con il dl Cura Italia (18/2020) e il dl Rilancio (34/2020) hanno svolto un’importante azione compensativa riducendo la perdita di reddito netta realizzata oltre la metà (circa 15 miliardi di euro) di quella che sarebbe stata in assenza di tali interventi.

In termini percentuali, senza le misure di sostegno attuate, la perdita di reddito media netta realizzata nel periodo marzo-maggio 2020, calcolata nella misura del 4%, sarebbe stata infatti più che tripla arrivando al 13%. L’effetto compensativo maggiore si riscontra sul reddito netto dei lavoratori autonomi che è stato reintegrato quasi per il 90%. Minore invece la performance delle misure per i lavoratori dipendenti la cui perdita netta subita è stata ristorata solo del 36%. Secondo quanto riportato nel documento del Mef infatti, in termini di beneficio medio, i lavoratori dipendenti hanno ricevuto un importo pari a 933 euro di Cig al mese (solo un quarto ha superato i 1.200 euro), cifra più bassa rispetto ai 1.240 euro ricevuti in media invece dai lavoratori autonomi grazie al cosiddetto contributo a fondo perduto.

Dal punto di vista dell’equità sociale ottime le performance sia del dl Cura Italia sia del dl Rilancio. Entrambi i decreti infatti hanno sostentato maggiormente le fasce più povere della popolazione consentendo loro di mantenere sostanzialmente invariati i livelli di reddito e limitando l’aumento della disuguaglianza che si sarebbe verificata in assenza di tali misure.

Analizzando invece il fabbisogno di liquidità delle famiglie italiane pre e post lockdown (i primi tre mesi della pandemia) i risultati sono meno confortanti. Lo studio del Mef mette in luce infatti che la metà delle famiglie italiane non è in grado di assorbire la perdita di un mese di reddito con le risorse liquide che aveva a propria disposizione prima dell’inizio del lockdown.

Solo il 27% delle famiglie (2,4 milioni) che hanno subito una perdita infatti sono state completamente ristorate dagli interventi del governo ed 1,6 milioni di nuclei sono usciti dal rischio di incorrere in una crisi di liquidità solo grazie alle misure contenute nei decreti. Una famiglia su dieci però, anche dopo aver ricevuto le integrazioni previste dai decreti, non riesce a coprire le perdite subite con le proprie risorse. Questi nuclei pertanto, come riportato anche nell’analisi del Mef, in mancanza di ulteriori interventi pubblici, rischiano di non poter mantenere il consueto livello di consumi. Sulla base di quanto calcolato dal dipartimento delle finanze, circa il 50% delle famiglie in crisi di liquidità risolverebbe il problema con una erogazione una tantum di circa 1.300 euro, il 25% necessiterebbe di un trasferimento di almeno 2.250 euro e il restante 25% invece avrebbe bisogno di poco meno di 500 euro.

Il report sottolinea inoltre che l’identikit delle famiglie con necessità più elevata di liquidità è quello in cui i percettori di reddito sono lavoratori autonomi, che in media hanno un reddito disponibile doppio rispetto ad altre famiglie ma liquidità sette volte inferiore.

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