Negli ultimi 50 anni si sono verificati oltre 11.000 disastri attribuiti a eventi meteorologici, climatici e legati all’acqua, che hanno comportato 2 milioni di morti e perdite economiche pari a 3,6 trilioni di dollari. Inoltre, se mediamente il numero di morti per singolo disastro è diminuito di un terzo, il numero di disastri registrati in questo periodo è aumentato di cinque volte e le perdite economiche sono aumentate di sette. “State of Climate Services 2020”, il report coordinato dall’Organizzazione meteorologica mondiale (World Meteorological Organization- WMO) e redatto con 16 agenzie internazionali, traccia un quadro preoccupante: “Gli eventi meteorologici e climatici estremi sono aumentati in frequenza, intensità e gravità a causa dei cambiamenti climatici e hanno colpito le comunità vulnerabili in modo sproporzionato”.

Il report punta sui sistemi di allerta precoce quando ancora oggi una persona su tre non è adeguatamente coperta. “Su scala globale nel 2018 circa 108 milioni di persone hanno avuto bisogno dell’aiuto del sistema umanitario internazionale a causa di tempeste, inondazioni, siccità e incendi. Si stima che entro il 2030 questo numero potrebbe aumentare di quasi il 50% con un costo di circa 20 miliardi di dollari all’anno”.

Mentre il Covid-19 ha generato una grande crisi sanitaria ed economica internazionale dalla quale ci vorranno anni per riprendersi “è fondamentale ricordare che i cambiamenti climatici continueranno a rappresentare una minaccia crescente per le vite umane, gli ecosistemi, le economie e le società per i secoli a venire”.

Secondo il report, per quasi il 90% dei Paesi meno sviluppati e dei piccoli Stati insulari, i sistemi di allarme rapido sono una priorità assoluta; il punto è che la maggior parte di loro non dispone di capacità e investimenti finanziari.

Dal 1970 a oggi i piccoli stati insulari hanno perso 153 miliardi di dollari a causa dei pericoli legati alle condizioni meteo e climatiche; oltre 10 volte il valore del Pil medio, che è di 13,7 miliardi di dollari.

Le difficoltà più grandi sono in Africa, dove soltanto 44mila persone su 100mila sono coperte da allarmi precoci, e questo nei Paesi in cui i dati sono disponibili. Inoltre le reti di osservazione meteorologiche sono spesso inadeguate, in particolare in tutta l’Africa dove nel 2019 soltanto il 26% delle stazioni ha soddisfatto i requisiti.

E’ necessario passare alla previsione basata sull’impatto, cioè riuscire a capire non tanto come sarà il tempo ma cosa farà, così da consentire alle persone di adeguarsi. “I sistemi di allarme rapido – ha osservato il segretario generale dell’organizzazione, Petteri Taalas – costituiscono un prerequisito per un’efficace riduzione del rischio di catastrofi e per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Essere preparati e in grado di reagire al momento giusto, nel posto giusto, può salvare molte vite e proteggere i mezzi di sussistenza delle comunità di tutto il mondo”.

Sono state 1,4 milioni le persone morte nei Paesi meno sviluppati a causa dei pericoli meteorologici e climatici.

Il rapporto offre anche sei raccomandazioni per una strategia in grado di migliorare i sistemi di allerta precoce in tutto il Pianeta. Tra queste, investimenti per colmare le lacune in particolare nei Paesi meno sviluppati, concentrarsi sul passaggio dall’arrivo delle informazioni alle azioni, garantire un finanziamento sostenibile del sistema di osservazione, monitorare i flussi finanziari per la comprensione, sviluppare maggiore coerenza nella valutazione e nell’efficacia dei sistemi di allerta, eliminare le differenze e le mancanze dei dati.

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