Nei prossimi quattro anni scadrà il 44% dei titoli di Stato detenuti dalle compagnie italiane. Bond che rendono in media il 4,4%, mentre le nuove emissioni pagano lo 0,8%. Dunque servono alternative
di Anna Messia
Scatta l’emergenza rendimenti per le assicurazioni italiane. Nel giro di 4 anni arriveranno a scadenza poco meno della metà dei ricchi titoli di Stato decennali che oggi le compagnie hanno in pancia. In ballo ci sono masse enormi, circa 190 miliardi, rispetto ai 429 miliardi totali di Btp in circolazione. Titoli che hanno rendimenti invidiabili ma che sono destinati ad arrivare presto a termine: il coupon medio di quei vecchi Btp è del 4,4%, mentre chi volesse ricomprare oggi titoli del debito pubblico italiano di eguale durata avrebbe un rendimento di appena lo 0,8%.
Un grattacapo per le assicurazioni, strette tra l’esigenza di individuare nuovi strumenti di investimento profittevoli e i vincoli imposti dalle regole di bilancio. Come quello sollevato da Carlo Cimbri, group ceo di Unipol, che presentando il bilancio semestrale in agosto aveva fatto sapere che il gruppo assicurativo di Bologna abbasserà drasticamente il peso dei Btp in portafoglio, dal 47% attuale al 40%, con un taglio complessivo di 10 miliardi.

I titoli di Stato non richiedono accantonamenti di capitale, ma le oscillazioni dello spread sui Btp possono provocare alta volatilità del Solvency II in caso di un’alta percentuale di investimenti. «Con grande rammarico ridurremo l’esposizione sull’Italia, privilegiando titoli di altri Paesi; una mossa necessaria per arginare la volatilità del Solvency II e non possiamo fare diversamente perché il nostro mandato è amministrare al meglio i soldi di assicurati e azionisti», aveva detto Cimbri. Eovviamente il gioco vale sempre meno la candela se i rendimenti sono destinati ad abbassarsi fino a rasoterra.
Ma allora dove devono guar dare le compagnie per trovare una valida alternativa ai Btp? Sulle azioni, per definizione più rischiose, a incidere è anche la normativa europea Solvency II che in caso di investimenti equity richiede assorbimenti di capitale che possono arrivare al 49%. Ma qualcos’altro si sta già muovendo. Negli ultimi anni c’è stata per esempio una crescita evidente del ruolo rivestito dalle quote di fondi comuni d’investimento con 87 miliardi di capitali intercettati nel 2019 che rappresentano una quota del 13,8% rispetto al totale degli asset. Una percentuale raddoppiata negli ultimi anni e aumentata di 12 miliardi rispetto al 2018. Non solo. Le compagnie guardano con crescente interesse ad investimenti nel settore immobiliare, nel private debt e nel comparto infrastrutture. In quest’ottica, all’inizio dell’anno, su iniziativa dell’Ania, l’associazione delle assicurazioni presieduta da Maria Bianca Farina è nato per esempio il Fondo di investimento per le infrastrutture italiane, finanziato dalle principali compagnie del mercato, da Generali ad Allianz passando per Poste e Intesa Vita, gestito da F2i Sgr, che ha un obiettivo di raccolta di 500 milioni e punta investire in infrastrutture in Italia, ma anche in strumenti azionari non quotati, secondi i principi Esg.

Rendimenti interessanti poi sono offerti dal fondi private debt che forniscono credito alle imprese medio-piccole, osserva Luca Bucelli, responsabile per l’Italia della pan-europea Tikehau Capital, società che gestisce fondi di private debt paneuropei per un totale di 10 miliardi di asset. «Il private debt può costituire una componente rilevante degli investimenti delle compagnie», dice Bucelli, sottolineando che si tratta di strumenti «utili a sostenere l’economia reale e a fornire liquidità alle aziende» con rendimenti netti compresi in media tra il 6 e l’8%. Tikehau Capital sta per lanciare il suo quinto fondo di private debt (il quarto fondo era arrivato a raccogliere 2,3 miliardi) e l’interesse del settore assicurativo è già alto, dice Bucelli: «I fondi di private debt possono rappresentare una delle risposte alle assicurazioni orfane di Btp ad alto rendimento, e nel nostro caso c’è anche una forte attenzione alle tematiche Esg».

Anche gli investimenti immobiliari da qualche anno crescono nei portafogli delle assicurazioni. I big, prime tra tutte Generali e Unipol hanno società dedicate agli investimenti nel mattone utili a diversificare gli investimenti, e la stessa Poste Vita, in un progetto partito lo scorso anno, ha scelto di cooperare con Generali Real Estate firmando un accordo quadro di co-investimento in ambito europeo con un impegno complessivo di 400 milioni diviso in parti uguali tra i due partner. La compagnia vita del gruppo Poste Italiane si è poi mossa direttamente anche con l’avvio di un fondo immobiliare, fino a 500 milioni, gestito da Ubs Asset Management Italia così come fatto anche da Zurich Investments Life per uno strumento da 400 milioni lanciato a fine 2016 con una durata di 15 anni. (riproduzione riservata)

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