La ministra del Lavoro ha annunciato che intende riaprire il cantiere previdenziale per superare alcune anomalie che si sono create negli anni scorsi. Intanto, però, meglio attrezzarsi anche con coperture extra. Disegnate su misura
di Roberta Castellarin e Paola Valentini

La manovra 2020 non ha toccato per ora quota 100 (articolo a pagina 16), il cavallo di battaglia della Lega introdotta a partire da quest’anno (in via sperimentale fino al 2021) per superare i limiti della riforma Fornero di fine 2011, che aveva previsto un drastico innalzamento dell’età della pensione. Resta quindi in vigore fino alla naturale scadenza tra tre anni la possibilità di ritirarsi con 38 anni di contributi e 62 anni di età. Non sono state ritoccate nemmeno le finestre di tre (per i lavoratori privati) e sei mesi (pubblico impiego) che ritardano l’accesso alla pensione di quota 100. Nel frattempo la finanziaria ha prorogato di un anno, anche per il 2020, sia l’Ape Social, il sussidio economico che accompagna alla pensione categorie di lavoratori da tutelare, sia la possibilità per le lavoratrici di andare in pensione anticipata (opzione Donna). Ape social era stata varata dal governo Renzi nel 2017, mentre Opzione donna risale al 2004 ed è stata prorogata più volte.
Ma proprio la natura provvisoria di queste misure volte a introdurre elementi di flessibilità nel sistema previdenziale, dopo i rigidi paletti della legge Fornero, fa emergere la necessità di un riordino complessivo. A partire da quota 100. Il governo intende aprire un tavolo con i sindacati per individuare una nuova riforma da far entrare in vigore nel 2022, quando finirà la sperimentazione triennale e tornerà il maxi gradino di cinque anni per i lavoratori nati dopo il 1960 con almeno 38 anni di versamenti. La ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha detto che «quota 100 è una misura sperimentale e in quanto tale deve continuare fino alla sua naturale chiusura, per poi nel frattempo pensare a un sistema di riforma previdenziale che superi definitivamente la riforma Fornero, e che quindi sia un sistema più giusto e più equo, per i nostri cittadini italiani». Anche il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta (Pd) ha avvisato: «Il problema ci sarà dopo», perché «dovremo discutere di che tipo di uscita dal lavoro realizzare». Senza un qualche correttivo dal 2022, infatti, torneranno uguali per tutti le attuali regole che prevedono una pensione di vecchiaia a 67 anni o con un’anzianità contributiva per i lavoratori uomini (dipendenti o autonomi) di almeno 42 anni e 10 mesi, a prescindere dall’età anagrafica e per alle lavoratrici donne di almeno 41 anni e 10. Oltre a lavorare più a lungo, le nuove generazioni di pensionati si troveranno ad avere un assegno più magro rispetto al passato per via del metodo contributivo che dalla riforma Fornero vale per tutti. Questo meccanismo di calcolo non è mai stato messo in discussione e comporta assegni legati ai versamenti effettuati lungo tutto l’arco della vita lavorativa. Ne consegue che in un mondo del lavoro come quello di oggi l’impatto sui contributi versati di carriere che iniziano tardi e magari anche discontinue è immediato, Serve quindi integrare la pensione pubblica e serve farlo al più presto anche perché la quota di lavoratori che resta scoperta dalla previdenza integrativa è ancora alta.
Dagli ultimi dati Covip aggiornati a fine giugno 2019 emerge infatti che il numero complessivo di posizioni in essere presso le forme pensionistiche complementari è di 8,922 milioni su una platea di oltre 22 milioni di lavoratori; al netto delle uscite, la crescita dall’inizio dell’anno è stata di 182 mila unità (+2,1%). A tale numero di posizioni, che include anche quelle relative a coloro che aderiscono contemporaneamente a più forme, corrisponde un totale degli iscritti che può essere stimato in circa 8,120 milioni. Una spinta a una maggiore adesione è possibile solo con l’aumento della consapevolezza dei lavoratori. Come ha sottolineato anche il presidente dell’Inps Pasquale Tridico: «Inps per tutti è una delle prime iniziative che ho avuto l’onore e l’onere di portare avanti. L’idea è semplice: portare le prestazioni dell’istituto tra la gente, soprattutto a chi è lontano dalle conoscenze e dalle informazioni. Siccome lo strumento di contrasto alla povertà è importante ed esiste è giusto portarlo tra le persone e rendere esigibile il diritto». Secondo Tridico «questo è un modo per non essere indifferenti. Il progetto Inps per tutti prevede che l’istituto sia pro attivo e dia il sevizio prima ancora che il cittadino lo chieda. L’informazione deve arrivare prima. Ad esempio per quanto riguarda Quota 100 e Reddito di cittadinanza alcune risorse rimangono non spese spesso perché manca l’informazione». E anche la busta arancione messa a disposizione dell’Inps per i lavoratori iscritti all’ente va in questa direzione.
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Per quanto riguarda, poi, le performance dei fondi pensione, quest’anno sono state brillanti perché i mercati finanziari hanno fatto segnare significativi recuperi dopo il terribile 2018. Le tendenze osservate si sono riflesse sui risultati delle forme pensionistiche complementari. Dalle rilevazioni della Covip relative al primo semestre 2019 emerge che i rendimenti aggregati, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, sono stati tutti positivi e superiori al tfr (trattamento di fine rapporto) che resta in azienda, ovvero la tradizionale asticella di paragone dei risultati dei comparti previdenziali per via dell’inflazione che resta bassa (il tfr si rivaluta dell’1,5% annuo fisso più il 75% dell’inflazione Istat). Nei sei mesi i fondi pensione aperti ha segnato un +5,5% e i fondi pensione negoziali il +4,7% a fronte del +1% del tfr. In base alla rilevazione di MF-Milano Finanza, che ha raccolto i rendimenti a fine settembre 2019 dei fondi negoziali, anche nei nove mesi hanno battuto il tfr mettendo a segno un risultato medio netto del 6,5%, contro il +1,18% del primo. Senza dimenticare che la rivalutazione del tfr sconta un’aliquota fiscale del 17% contro il 20% applicata invece ai rendimenti dei comparti previdenziali. E non manca, tra i fondi negoziali, chi ha superato una performance del 12% nei nove mesi. È il caso del comparto Dinamico di Byblos (12,94%), seguito dall’Azionario di Mediafond (12,49%) e dalla linea Crescita di Fondapi (12,2%). Anche tra i fondi pensione aperti, che in media hanno fatto il 7,4% da gennaio a fine settembre, si registrano risultati a doppia cifra tra i migliori comparti (sulla base dei dati Fida). A partire dal 14,90% di UnipolSai Previdenza Azionario A, che precede il Credem Vita Comparto Azionario B (14,86%).
«I primi nove mesi dell’anno si chiudono con rendimenti marcatamente positivi per i comparti di Fondemain grazie a performance inaspettatamente, almeno nella misura, brillanti per quasi tutte le asset class», premette Nicola Barbiero, responsabile funzione finanza di Fondemain, il fondo pensione negoziale dedicato ai lavoratori operanti nella Valle d’Aosta. Barbiero puntualizza anche che «in quest’ultimo trimestre al buon andamento dei mercati azionari si affianca una contrazione significativa, fino a livelli negativi, dei rendimenti dei titoli di stato area euro, con effetti più che positivi per gli asset in portafoglio. Una tendenza, questa, da interpretare con particolare attenzione: si tratta a tutti gli effetti di un anticipo dei rendimenti futuri e, se da un lato gli iscritti ne beneficiano nel breve, dall’altro le aspettative di redditività di questi titoli diminuiscono in misura decisa».
Non a caso Fondemain sta cercando alternative, in linea peraltro con la strategia del resto del mercato. «Il mutato contesto politico economico richiede ai fondi pensione una maggiore flessibilità per poter assolvere al proprio ruolo previdenziale. Consapevole di tali circostanze il cda di Fondemain sta rivedendo la politica d’investimento del fondo per cogliere tali mutamenti e permettere ai propri aderenti di raggiungere i rispettivi obiettivi nel lungo periodo a prescindere dagli scenari di mercato che, tempo per tempo, andranno a realizzarsi», dice Barbiero.
Allineato è Paolo Stefan, direttore del Fondo Solidarietà Veneto (destinato ai lavoratori delle aziende della Regione Veneto). Stefan si sofferma sulle recenti dichiarazioni di Jean Pierre Mustier, alla guida di Unicredit , il quale ha detto che «sarebbe estremamente importante che i tassi negativi non si fermassero nei bilanci bancari, se si hanno dei tassi negativi bisogna avere il più efficiente meccanismo di trasmissione» e gli effetti vanno «gradualmente passati ai clienti» perché «questo è l’unico modo di massimizzare il meccanismo di trasmissione, se si vuole avere il pieno impatto delle politiche monetarie». Anche i risparmiatori italiani «hanno prestato attenzione a queste parole», dice Stefan, «visto che si comincia a parlare di tassi negativi sui conti correnti». Tutto parte dal nuovo slancio della Bce che ha assicurato, anche per il futuro prossimo, pieno supporto dell’economia, attraverso un rinnovato Quantitative easing. «L’effetto è ormai noto: i rendimenti a breve, e non solo sono scesi ulteriormente, gonfiando oltre le attese le performance dei portafogli a matrice obbligazionaria», aggiunge Stefan.
Anche i comparti di Solidarietà Veneto traggono beneficio da questo fenomeno, segnando risultati fra i migliori dei 17 anni di gestione delle linee multicomparto. «Un bilancio positivo che però, se da un lato suscita comprensibile entusiasmo, dall’altro impone un atteggiamento responsabile nella valutazione. I rendimenti di questi mesi possono infatti essere rappresentati come una sorta di anticipo, più o meno consistente, della redditività futura. Si dice che i rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri», sottolinea ancora Stefan, «e nel bel mezzo del mese dell’educazione finanziaria, è doveroso spiegare quanta verità ci sia in questa affermazione, alla luce del ribasso dei tassi. Diversamente si potrebbero generare aspettative difficilmente realizzabili» Quali alternative restano al risparmiatore, viste anche le prospettive di tassi negativi nei depositi in conto corrente? «Un rompicapo di difficile soluzione, specie per chi è alla ricerca di rendimento free risk nel breve termine. Emerge però, proprio nella difficoltà, il potenziale dei fondi pensione: il lungo orizzonte temporale consente di cogliere opzioni d’investimento altrimenti precluse, quali le infrastrutture e le imprese non quotate. Si intercettano così rendimenti interessanti ma, soprattutto, si determina una più efficace diversificazione. La massa patrimoniale che caratterizza i fondi pensione agevola questo ulteriore obiettivo, difficilmente realizzabile per il singolo individuo, se non a costi molto elevati. Un valore aggiunto che la previdenza complementare può fornire ai propri aderenti nell’ottica di permettere loro di raggiungere i propri obiettivi pensionistici a prescindere dalle condizioni di mercato del singolo momento», conclude Stefan. Sul tema della consapevolezza un capitolo a parte lo meritano i professionisti che devono interagire non con le loro Casse professionali e non con l’Inps. MF Milano Finanza ha chiesto a Propensione (digital company attiva nella consulenza e distribuzione online di prodotti di previdenza integrativa e di protezione dell’individuo fondata da Giancarlo Scotti ex ad di Lazard Italia e di Generali Real Estate) una simulazione su tre figure professionali, avvocato, commercialista e architetto per scoprire di quanta scorta hanno bisogno per garantirsi un buen retiro il più tranquillo possibile.
In queste pagine tre box dedicati mettono a focus proprio le soluzioni individuate da Propensione, che offre un cammino graduale di avvicinamento alle tematiche della previdenza integrativa attraverso gli strumenti digitali e le piattaforme social (www.propensione.it), mettendo a disposizione le informazioni e gli strumenti necessari per scegliere in modo consapevole tra i migliori prodotti offerti dal mercato. (riproduzione riservata)

Quale assegno può aspettarsi l’avvocato
Gli esperti di Propensione spiegano che gli avvocati devono versare i contributi al proprio ente previdenziale di riferimento: la Cassa Forense. Questi hanno due vie principali e alternative di accesso alla pensione: la pensione di vecchiaia, per la quale bisogna aver raggiunto i 69 anni di età e 34 di effettiva iscrizione alla cassa; la pensione di anzianità, per la quale bisogna avere almeno 61 anni di età e 39 di effettiva iscrizione (62 anni di età e 40 di iscrizione a partire dal 2020). L’importo della pensione che verrà erogato agli avvocati dipenderà dal reddito dichiarato nell’arco del periodo di iscrizione alla Cassa Forense e in genere sarà pari a circa il 30% dell’ultimo reddito percepito da lavoratori. «Vediamo l’esempio di Maria, 34 anni, avvocato dal 2014 con reddito pari a 37.000 euro lordi annui, in regime fiscale ordinario. Versando 350 euro al mese alla previdenza integrativa Maria otterrà una rendita integrativa vitalizia di 573 euro lordi mensili da affiancare alla propria pensione pubblica. Inoltre, grazie alla deducibilità, ogni anno riuscirà a risparmiare ben 1.662 euro di tasse. Versando 350 euro al mese alla previdenza integrativa Maria otterrà una rendita integrativa vitalizia di 573 euro lordi mensili da affiancare alla propria pensione pubblica. Inoltre, grazie alla deducibilità, ogni anno riuscirà a risparmiare ben 1.662 euro di tasse», dicono da Propensione.

I conti in tasca al commercialista
«I commercialisti devono essere iscritti all’apposito albo e versare i propri contributi previdenziali alla Cassa dei Dottori Commercialisti. Coloro che possono far valere contribuzioni antecedenti al 1°gennaio 2004 potranno andare in pensione accedendo a una delle seguenti vie principali: 68 anni di età anagrafica e 33 di iscrizione e contribuzione alla cassa; oppure con 70 anni di età anagrafica e 25 di iscrizione e contribuzione alla cassa; o ancora, andare in pensione sulla base dei contributi versati con almeno 38 anni di contributi e 61 di età anagrafica oppure al raggiungimento di 40 anni di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica», dicono da Propensione. Coloro che hanno periodi di anzianità contributiva alla cassa Cnpadc esclusivamente a partire dal 1°gennaio 2004, potranno accedere alla pensione al raggiungimento dei 62 anni di età e con almeno 5 anni di contributi (Pensione unica contributiva). Al pari degli avvocati, anche i commercialisti potranno contare su una pensione pubblica in media bassa. «Roberto come commercialista conosce bene i vantaggi fiscali che il sistema di previdenza complementare offre ai propri aderenti ed è per questo che ha scelto di aderirvi anche lui versando 5.164 euro all’anno (importo massimo deducibile)», conclude Propensione.

Così l’architetto può costruirsi un congedo adeguato
Gli architetti che esercitano la libera professione hanno tre vie per accedere alla pensione: la pensione di vecchiaia che si raggiunge al compimento di almeno 66 anni e 3 mesi di età e 33 anni di iscrizione e contribuzione alla Cassa; la pensione di vecchiaia unificata anticipata si ottiene con lo stesso requisito di contribuzione e iscrizione di quella ordinaria ma all’età di 63 anni e 3 mesi; la pensione di vecchiaia posticipata che prescinde dal requisito contributivo minimo e viene corrisposta all’età di 70 anni e 3 mesi. «Matteo, architetto 42enne, ha iniziato a lavorare nel 2004 e secondo le stime potrà andare in pensione nel 2042 potendo contare su una pensione pubblica pari al 38% dell’ultimo reddito. Al momento percepisce un reddito pari a 51.000 euro e pur avendo optato per il regime di tassazione forfettario ha deciso di aderire alla previdenza integrativa versando al fondo pensione 6.000 euro all’anno. A differenza di Maria e Roberto che non hanno optato per il regime forfettario, Matteo non potrà dedurre i contributi versati al fondo. Nonostante ciò, una volta raggiunta l’età pensionabile potrà contare sull’esenzione della prestazione finale ottenendo una pensione integrativa pari a 6.670 euro annui», scrive nella sua simulazione Propensione. (riproduzione riservata)

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