In Italia meno del 10% dei terreni è assicurato, con grandi differenze di copertura fra le Regioni. Il settore inoltre è in stagnazione: il giro d’affari è fermo a 5 miliardi di euro da circa otto anni
di Carlo Brustia

Assicurazioni e agribusiness, nuovi scenari di collaborazione. Questo il tema portante su cui sabato 19 ottobre si sono confrontati alcuni esperti nel corso del Milano Festival delle Assicurazioni organizzato da Class Editori e Assinews. Nel suo intervento Giovanni Razeto, dirigente dell’Ismea, ha osservato come rispetto all’importante valore aggiunto che l’agribusiness genera a favore dell’economia nazionale il settore ricorra ancora troppo poco alla gestione del rischio.
In altre parole, si affida molto meno del necessario alle assicurazioni per tutelare raccolti e rischi a essi correlati. Più nel dettaglio, è emerso che in Italia la porzione di territorio coltivato coperta dai rischi ammonta all’8,3% della superficie agricola complessiva, ossia 1.027.394 ettari sui 12.425.995 totali. Si va dall’esempio virtuoso della Lombardia – dove quasi il 30% dei terreni sono coperti da polizze – fino a Liguria e Calabria che chiudono la graduatoria con sconfortanti 0,1% e 0,4%. Il giro d’affari assicurato vale oggi circa 5 miliardi di euro, livello che di fatto si mantiene quasi invariato ormai da otto anni: una sostanziale stagnazione che si riscontra nonostante le forti agevolazioni riconosciute sui premi in polizza, in grado di determinare sgravi fino al 70%. «Sottoscrivere assicurazioni agricole per garantirsi il fatturato significa anche rendere bancabile la propria impresa. Una questione oggi non certo da poco», ha inoltre puntualizzato Razeto. Il punto di vista delle compagnie assicurative è stato esposto da due dirigenti di Reale Mutua e di Cattolica. In particolare Mario Alfredo Ferrari , project manager di Reale Mutua, ha spiegato come il gruppo stia facendo riflessioni da oltre un anno, valutando una possibile uscita da questo business dove anche nel 2019 il rapporto sinistri-premi è stato superiore al 100%, rendendo pertanto arduo far quadrare i conti. Le compagnie, secondo l’esperto, nei prossimi anni dovranno assolutamente trovare un modo per riuscire a valutare correttamente il rischio, altrimenti – a tendere – non potranno che uscire da questo settore. Preoccupazioni in buona parte condivise anche dal responsabile della linea di business agricola di Cattolica Assicurazioni , Enzo Pracucci, il cui intervento si è focalizzato sulle strategie che il gruppo guidato da Alberto Minali – all’avanguardia su questo fronte in Italia – sta mettendo in campo per cercare di mantenere profittevole l’attività. Per la compagnia veronese, ha raccontato il manager, la gestione di tutto il rischio del settore vale circa 130 milioni di euro e ad occuparsene è un team di 40 persone del quale fanno parte veterinari e agronomi. Due le leve su cui il gruppo si muove: innovare l’offerta prodotto e migliorare i sistemi di rilevazione. Su quest’ultimo fronte, le perizie di Cattolica sono da qualche tempo supportate anche da rilevazioni satellitari, mentre la compagnia raccoglie dati anche grazie all’osservazione dall’alto effettuata tramite droni. Per quanto riguarda i prodotti, sono stati avviati accordi con le facoltà di agraria di diversi atenei italiani: a stretto giro, grazie anche a queste collaborazioni, verranno lanciate apposite coperture miste su mais/frumento e su erba medica.
Matteo Lasagna di Confagricoltura ha descritto l’agribusiness e la difesa del made in Italy che si porta appresso come un’autentica terza rivoluzione industriale in atto in Italia, mettendo in guardia sul fatto che negli ultimi tre anni – a causa dei cambiamenti climatici in atto – c’è stata per diverse colture una contrazione sia di capacità sia di superfici. Il caso limite citato è quello del grano duro, la cui produzione è scesa di oltre l’8%. La ricetta consiste in questo caso nell’attuare un salto culturale che consisterebbe nel cercare di maturare la capacità di vedere una produzione prospettica. Chiudendo gli interventi del panel mattutino, Paolo Voltini – esponente di Coldiretti – si è soffermato a ricordare come il comparto agroalimentare sia al secondo posto tra le voci di contribuzione al pil, il che smentisce sul nascere chi sostiene che l’agricoltura non sia riuscita a restare al passo con i tempi. Ha poi invitato attori e compagnie a «cercare di dare vita a una vera filiera assicurativo-agricola, trasparente, che possa aiutare a mettere in luce eventuali opportunità». (riproduzione riservata)
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