L’esercito silenzioso dei caregivers, uomini e donne che assistono un familiare bisognoso di cure o non autosufficiente, ammonta in Europa a 100 milioni di volontari, secondo i calcoli dell’Osservatorio del diritti, onlus sui diritti umani. In Italia superano i 7 milioni, nelle stime Istat: per oltre 2 milioni l’impegno assistenziale è quotidiano e in ogni caso va oltre le 20 ore settimanali. Si tratta di cittadini senza diritti né stipendio. Dopolalavoristi, loro malgrado, perché in tanti affiancano questa attività al lavoro principale. Nelle aziende Usa è caregiver un dipendente su 7, ed ha tra i 40 e i 60 anni (stime Harvard University). Nelle aziende Italiane, stando ad uno studio campionarlo Jointly – Università Cattolica, il 33 per cento del dipendenti si fa carico dei parenti in difficoltà. Di questi, complice l’invecchiamento demografico, uno su 4 deve anche gestire i propri figli ancora non cresciuti. Tale infittirsi di doveri e cure è tipico della “sandwich generation” schiacciata fra anziani e bambini. L’impatto per le imprese Italiane si traduce in assenteismo. Nell’Europa a 28 la percentuale di individui dai 15 anni in su che forniscono assistenza almeno una volta a settimana è il 15,6%. L’Italia si colloca a quota 17,4 e al suo interno il record va al Friuli, con il 20.2%. Ma in termini di tempo effettivo dedicato agli altri, la Sicilia è in testa con 20 ore settimanali, il Veneto in coda con 1O. Con la legge di bilancio 2018, per la prima volta, il governo ha istituito un fondo per i caregiver di 20 milioni l’anno di qui al 2020.

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